La lista si allunga.
Nel 2007 erano 923 milioni le persone che non avevano abbastanza cibo. La Food and Agriculture Organization segnala che alla base del "drammatico quanto rapido" aumento del numero di affamati cronici nei Paesi del Sud del mondo c'è l'impennata dei prezzi delle materie prime agricole.
Il costo del cibo.
L'aumento dei prezzi ha fatto precipitare nell'insicurezza alimentare milioni di poveri e ridotto drasticamente la quantità e qualità del cibo a loro disposizione. E' pur vero che c'è stato un calo dei prezzi dall'inizio del 2008, ma, ha spiegato il vicedirettore generale della Fao e curatore del rapporto Hafez Ghanem, "per milioni di persone riuscire a mangiare ogni giorno una quantità di cibo sufficiente è ancora un sogno lontano". In ogni caso, il calo non è stato abbastanza forte: l'Indice Fao dei prezzi alimentari nell'ottobre 2008 era ancora un 20 per cento più alto rispetto all'ottobre 2006.
Le difficoltà degli agricoltori.
Con i prezzi delle sementi e dei fertilizzanti più che raddoppiati dal 2006, i contadini poveri non sono riusciti ad aumentare la produzione, mentre gli agricoltori più ricchi, soprattutto nei Paesi sviluppati, hanno sostenuto i prezzi più alti e accresciuto le semine.
L'avvertimento.
Ghanem ha parlato anche dei rischi futuri: "Se i prezzi più bassi e la stretta creditizia associati alla crisi economica costringeranno gli agricoltori a diminuire le semine - ha osservato - l'anno prossimo potrebbe verificarsi un'altra drammatica ondata di prezzi alimentari alti e ancora più affamati".
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CHIESA: MEGLIO LA PENA DI MORTE AI GAY CHE PERDERE FEDELI In molti paesi l'omosessualità è considerata un reato penale punibile anche con la morte. La Francia con portavoce il ministro Rama Yade indende, a nome di tutti gli stati membri dell'Unione Europea, depenalizzare l'omosessualità in tutto il mondo, ma la Chiesa che non intende "Rinunciare al suo speciale stato diplomatico e definirsi per quello che è, la più grande organizzazione non governativa del mondo" come ha definito "The Economist" in un suo articolo, tramite
l’arcivescovo Celestino Migliore portavoce all' ONU della Santa Sede esprime un netto no alla proposta di depenalizzazzione ancora non formalizzata della Francia. Il motivo di dissenso della Chiesa è che una legge del genere una volta approvata possa essere utilizzata per riconoscere il matrimonio gay e mettere in pericolo importanti concezioni ...
Iran, impiccato perché era gay"Per la sodomia c'è solo la forca"
TEHERAN - Il presidente iraniano
Ahmadinejad aveva affermato che gli omosessuali non sono perseguitati nel suo Paese "perché non esistono". L'aveva detto durante la visita negli Usa alla Columbia University meno di tre mesi fa. Ma un gay di 20 anni è stato impiccato con l'accusa di violenza sessuale su tre ragazzini quando aveva appena 13 anni. Non è bastata la sospensione dell'esecuzione decretata dalla magistratura e il ritiro della denuncia delle parti civili. Neppure la mobilitazione internazionale è servita per salvarlo.
Makwan, arrestato sei anni dopo i reati contestati, è salito sul patibolo ieri mattina nel carcere di Kermanshah, nell'ovest dell'Iran. Un'esecuzione frettolosa, secondo quanto scrive oggi il quotidiano Etemad Melli. La famiglia è stata avvertita un'ora dopo perché andasse a prelevare il corpo. E all'impiccagione non era presente nemmeno il suo avvocato, Said Eqbali. Secondo testimoni, dopo essere stato arrestato nella cittadina dove risiedeva, Paveh, Makwan era stato umiliato venendo portato in giro per le strade sopra un asino. La sodomia è uno dei reati per i quali nella Repubblica islamica è prevista la pena di morte. La legge è ambigua, poiché non vi è discriminante tra la violenza carnale e gli atti consensuali. Diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani, tuttavia, come Human Rights Watch, che ha reso noto il caso di Makwan, hanno denunciato le esecuzioni di giovani condannati solo perché omosessuali. La condanna a morte, inoltre, è applicata in Iran anche nei confronti di minorenni, o di persone che erano minorenni all'epoca dei reati contestati.
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Morti bianche, una strage lunga un anno
ROMA - Quasi un milione di incidenti l'anno con un lavoratore ucciso in media ogni 7 ore, per un totale che è arrivato a quota 1.260 morti nel 2007, con i dati Inail 2008 che parlano chiaro: da gennaio a settembre le vittime sul lavoro sono state 779, meno delle 908 registrate nello stesso periodo del 2007, ma sempre troppe, con una media giornaliera di circa tre morti al giorno. Una strage lunga un anno e con costi altissimi, non solo in termini di vite spezzate: si calcola che in 12 mesi la spesa per gli incidenti sia pari a oltre 4 miliardi di euro, circa quattro leggi Finanziarie, il 3,2% del Pil.
Una "strage bianca" sulla quale non c'è abbastanza attenzione da parte dei media, come testimoniano le rilevazioni puntuali fatte dall'Amnil, Associazione Nazionale Mutilati, che incrociando le notizia di agenzia, del web e della rassegna stampa ha potuto contare da gennaio a oggi "soltanto" 471 morti. Dati che mettono in luce un enorme "buco" da parte dell'informazione italiana rispetto ai pur provvisori dati Inail: "I mezzi di informazione - ha detto Franco Bettoni, presidente Anmil - non si appassionano alla storia di una morte sul lavoro come invece succede per un caso di omicidio, specialmente se di difficile soluzione. Probabilmente perché in fondo le morti sul lavoro si considerano come una fatalità, piuttosto che come qualcosa di evitabile".
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Argentina - "Desaparecidos", una ferita ancora aperta
Generale Ibérico Saint Jean, governatore di Buenos Aires (1977): "Prima uccideremo tutti i sovversivi, poi uccideremo i loro collaboratori, dopo i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e alla fine i timidi."
Si calcola che siano più di trentamila i desaparecidos tra il 1976 e il 1983 durante la dittatura militare in Argentina. A questi si devono aggiungere oltre 1.500.000 di esiliati, 9.000 prigionieri politici, 15.000 fucilati per le strade e più di 500 bambini sequestrati o nati in campi di concentramento e rubati dalle loro identità e ridotti in schiavitù.
Il metodo repressivo sperimentato dalla dittatura militare basato sulla tortura, sul sequestro, sui campi di concentramento clandestini, sui bambini trattati come bottino di guerra, sull' omicidio e sull'occultamento dei cadaveri resta una delle macchie più infami del passato recente della storia dell' umanità.
Il 24 di marzo del 1976 le Forze Armate e precisamente
Massera per la Marina,
Agosti per l'aeronautica e
Videla per l'esercito, che poi sarà il presidente di fatto, rovesciano il governo di Isabelita Perón instaurando la dittatura militare.
I golpes militari in Argentina, come in tutti i paesi dell' America Latina, godevano dell' appoggio, oltre che della classi più abbienti del paese, anche di quello di una parte abbastanza consistente della classe media che vedeva nei militari un forte spirito patriottico utile per affrontare i problemi economici e politici in cui il paese si trovava. Gli stessi militari che prendono il potere definiscono il nuovo periodo storico che si accingono a interpretare come il Processo di Riorganizzazione Nazionale i cui i obiettivi strategici erano sterminare la guerriglia, riordinare l' economia e disciplinare la società.
Appena arrivata al potere la giunta militare dichiara lo stato d' assedio. Viene sciolto il parlamento, vengono abolite le organizzazioni sindacali e studentesche e chiusi i giornali non schierati.
Il Debito Estero
Una politica selvaggia di neoliberismo apre le porte a capitali e prodotti stranieri a scapito della già sofferente industria locale. Per colmare un deficit statale che si andava incrementando di anno in anno l'Argentina inizia a chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale, organismo bancario controllato dai G7, iniziando così a mettere le basi per quello che diventerà negli anni '90, con il perpetuarsi dei prestiti dei governi costituzionali, uno dei più grandi debiti esteri del mondo e che porterà nel dicembre 2001 alla bancarotta dello stato e allo sfascio sociale ed economico del paese.
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Bambini e bambine soldato
Mezzo milione di minori sono impiegati negli eserciti regolari e nei gruppi armati di opposizione in 85 paesi; più di 250.000 di questi prendono parte ai combattimenti in 35 paesi, e ben 120.000 solo nel continente africano.
Nel
Rapporto presentato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite al Consiglio di Sicurezza nel 2005 sono stati segnalati Paesi in conflitto o reduci da conflitti in cui i bambini e le bambine subiscono gravi violazioni dei loro diritti.
L’elenco dei Paesi è stato aggiornato nel
Rapporto del 2006 ed attualmente comprende:
Afghanistan,
Burundi,
Chad,
Colombia,
Costa d’Avorio,
Iraq,
Liberia,
Myanmar, Nepal,
Filippine,
Repubblica Democratica del Congo,
Somalia,
Sri Lanka,
Sudan e
Uganda.
Anche se sono stati compiuti progressi in alcuni Paesi, come in Liberia e in Sierra Leone, in alcuni aree di crisi, in Sudan (Darfur), Chad, Afghanistan, Iraq e Sri Lanka ad esempio, la situazione ha continuato a peggiorare, mentre in
Libano, Israele e nei
Territori Occupati Palestinesi la recente escalation di violenza ha causato migliaia di vittime.
Le bambine soldato
Sono sempre di più le bambine e le ragazze coinvolte nei conflitti armati che partecipano direttamente alle ostilità.
Si tratta di bambine e ragazze particolarmente vulnerabili, spesso rimaste orfane di entrambi i genitori, uccisi durante i combattimenti, o che vengono rapite durante le incursioni dei gruppi di ribelli.
Le ragazze rimaste orfane tendono a cercare rifugio e protezione negli eserciti per sfuggire alle dure condizioni della vita di strada, ma una volta arruolate vengono ridotte in schiavitù, costrette a soddisfare i desideri, anche sessuali, dei combattenti. Subiscono ripetutamente violenze e abusi. Il rischio di contrarre HIV/AIDS ed altre malattie sessualmente trasmissibili è molto elevato, così come le probabilità di restare incinta.