30 maggio 2009

La crociera dell'amore


Il premier promette crociere per gli sfollati dell'Aquila
Berlusconi fa una serie di sopralluoghi all'Aquila, sui luoghi del terremoto, visita l'ospedale. E poi annuncia ai giornalisti che lo seguono: «Entro settembre contiamo di non avere più gente nelle tende, mentre questa estate vogliamo programmare vacanze al mare per le famiglie e crociere sul Mediterraneo per i ragazzi».

Non è uno scherzo, il premier parla con tono serio: «La Protezione Civile sarebbe stata in grado di dare un alloggio a tutti gli sfollati. Chi vive nelle tende - sostiene - lo fa per propria volontà, perchè si sente radicato nel territorio e vuole restare vicino alla propria abitazione». Ma dal 15 settembre non ci dovrà essere più una tenda, è la promessa: «La speranza è che prima dell'inverno ognuno abbia una casa». Per alleviare lo stress ai terremotati la Protezione civile starebbe pensando anche a periodi di vacanza per giovani e meno giovani. È lo stesso presidente del Consiglio ad annunciare la novità: «Stiamo organizzando giorni al mare per le famiglie. I ragazzi, invece, stiamo vedendo di mandarli in crociera nel Mediterraneo».

26 maggio 2009

Premier pinocchio o faccia di bronzo?


La "verità" del padre di Noemi e le falsità del CavaliereIl ricordo di Elio Letizia non coincide con quello di Berlusconi
La prima ammissione in un rosario di bugie
"L'ho vista sempre in compagnia dei genitori". Ma poi è il premier stesso a dire...
di GIUSEPPE D'AVANZO

Berlusconi alla Cnn
Si può immaginare che a Palazzo Grazioli ci sia come "un'unità di crisi", per lo meno dal 3 maggio quando Veronica Lario ha lanciato il suo j'accuse politico contro il marito premier. Si può immaginare uno staff (ne ha preso le redini l'avvocato Niccolò Ghedini?) che mette insieme i cocci delle troppe contraddizioni; tiene i contatti con i protagonisti e sotto controllo coloro che potrebbero diventarlo; influenza il lavoro delle redazioni e la comunicazione politica; coordina le dichiarazioni pubbliche e le interviste dei co-protagonisti; distribuisce servizi fotografici, utili a fabbricare una realtà artefatta: lo si è visto con le performance di Chi (Mondadori). Se questa "unità di crisi" è davvero al lavoro a Palazzo Grazioli, va detto che il suo impegno è mediocre e dannoso per Berlusconi che dovrebbe avvantaggiarsene per uscire dal cul de sac in cui lo hanno cacciato, dopo dodici giorni, le troppe parole bugiarde scandite nei primi giorni dell'affaire e l'imbarazzato silenzio opposto alle dieci domande che Repubblica ha ritenuto di dovergli rivolgere.

Lunedì 25 maggio, ieri, avrebbe dovuto essere il giorno della riscossa. Domenica, i ricordi di Gino Flaminio, l'operaio di 22 anni legato sentimentalmente a Noemi Letizia dal 28 agosto 2007 al 10 gennaio 2009, aveva mandato per aria il tableau manipolato senza sapienza (Repubblica, 24 maggio). Non era vero che la famiglia Letizia né tanto meno il padre di Noemi, Elio, avevano una lunga amicizia con Berlusconi, sostiene Gino. Il premier telefonò alla minorenne Noemi per la prima volta soltanto nell'ottobre del 2008, soltanto sette mesi fa. Le telefonò direttamente. Nessuna segreteria. Nessun centralino. Le disse parole di ammirazione per la sua "purezza" in un pomeriggio, per la ragazza, di studio. Dopo quel primo contatto ne seguirono altri, e poi - come ha ammesso la giovane Noemi - incontri a Roma, a Milano e la vacanza di dieci giorni a Villa Certosa in Sardegna (26/27 dicembre - 4/5 gennaio) a ridosso del Capodanno 2008, rivelata da Gino.
Questa verità andava prontamente contrastata. L'"unità di crisi" decide che ad opporvisi subito debba essere il padre della ragazza. Berlusconi approva l'iniziativa e l'anticipa alla stampa. "Vedrete che il padre della ragazza chiarirà ogni cosa in un'intervista, dirà lui della genesi dei nostri rapporti" (Corriere, 25 maggio). Così è stato. Il signor Elio Letizia, dopo categorici rifiuti ["Non ho alcuna intenzione (di spiegare come ho conosciuto Berlusconi)", Oggi, 13 maggio] decide di offrire al Mattino la ricostruzione dell'incontro con il premier, il come e il quando, il ricordo del primo incontro tra il presidente del consiglio e la giovane figlia. Contemporaneamente, anche il premier rievoca con il Corriere quel primo incontro con Noemi. Ne vengono fuori due racconti divergenti, l'ennesima verità che cancella le precedenti versioni pubbliche, altre gravi incoerenze.

Forse si ricorderà che Berlusconi ha detto di aver conosciuto Elio Letizia perché questi era "l'autista di Craxi" (Ansa, 29 aprile). La familiarità politica era stata, in quei giorni, invocata anche da Anna Palumbo, madre di Noemi: "Berlusconi ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista" (Repubblica, 28 aprile). Ancora Berlusconi, nella puntata di Porta a porta del 5 maggio (titolo, "Ora parlo io") aveva ripetuto che quell'amicizia antica aveva il colore della passione politica. Il premier ha rivelato di essere volato a Napoli per discutere con Elio Letizia di candidature alle Europee. Dunque, in questa prima versione "congiunta", i riferimenti sono Craxi (fugge ad Hammamet il 5 maggio del 1994) e il partito socialista (si scioglie il 13 novembre del 1994). Se ne deve dedurre che l'amicizia di Berlusconi con Elio Letizia, nata "ai tempi del partito socialista", risale a un periodo precedente al 1994, ad oltre quindici anni fa.

Nell'intervista al Mattino, Elio Letizia liquida per intero la quinta politica dell'amicizia. Non azzarda a dire che è stato un militante socialista né conferma di aver discusso con il presidente del consiglio chi dovesse essere spedito al parlamento di Strasburgo. La prima, insignificante stretta di mano, "nulla di più", avviene nel 1990 (Berlusconi si occupa di tv e calcio), dice Letizia, mentre la "vera conoscenza ci fu nel 2001" quando Craxi non c'è più e il suo partito è liquefatto, dunque sette anni dopo "i tempi del partito socialista".

Elio sa - racconta - che a Berlusconi piacciono "libri e cartoline antiche" e nelle sale dell'hotel Vesuvio (maggio 2001) gli propone di regalargliene qualche esemplare. L'idea piace a Berlusconi e Letizia lo raggiunge, poco dopo, a Roma per mostrargli le più belle "cartoline di Secondigliano", dove Elio è nato e vive. Nasce così un legame che diventa un'affettuosa e partecipata amicizia quando Anna e Elio Letizia sono colpiti dalla crudele sventura di perdere il figlio Yuri in un incidente stradale. Berlusconi si fa vivo con una "lettera accorata e toccante".

Letizia decide di presentare la sua famiglia al presidente del consiglio nel "dicembre del 2001": "A metà dicembre io e mia moglie andammo a Roma per acquisti e, passando per il centro storico, pensai che fosse la volta buona per presentare a Berlusconi mia moglie e mia figlia" (il Mattino, 25 maggio). Questa è la versione dalla viva voce di Elio Letizia, dunque: il capo del governo "per la prima volta vide Anna e Noemi" nel dicembre del 2001 non in pubblico ma nella residenza privata del premier, a palazzo Grazioli, o a Palazzo Chigi. Noemi ha soltanto dieci anni.

Il ricordo di Elio Letizia non coincide con quello di Silvio Berlusconi. La memoria del capo del governo disegna un'altra scena decisamente differente da quella che ha in mente Elio Letizia. Quando Berlusconi ha incontrato per la prima volta Noemi? "La prima volta che ho visto questa ragazza è stato a una sfilata", risponde il premier (Corriere, 25 maggio). Quindi, in un luogo pubblico e non nei suoi appartamenti pubblici o privati. Non nel 2001, come dice Elio, ma più avanti nel tempo perché Noemi avrebbe avuto l'età adatta per "sfilare" (quattordici, quindici, sedici anni, 2005, 2006, 2007).

Non è il solo pasticcio che combina l'"unità di crisi" immaginata. Le incoerenze che si ricavano dalla lettura dei due racconti consegnati alla stampa per "il lunedì della verità" sono almeno altre due. Berlusconi sostiene di conoscere "la famiglia di quella ragazza da più di 10 anni", quindi da molto più tempo di quel che ricorda Elio che ammette di aver conosciuto personalmente il presidente del consiglio nel maggio 2001 e gli presenta la sua famiglia (la moglie Anna e la figlia Noemi) in dicembre. Otto anni fa e "non più di dieci".

Contraddittorie anche le ricostruzioni della serata del 19 novembre 2008 quando il premier invita Noemi a Roma in occasione della cena offerta dal governo alle griffe del made in Italy, raccolte nella Fondazione Altagamma. La ragazza siede al "tavolo numero 1" accanto al presidente e a Leonardo Ferragamo, Santo Versace, Paolo Zegna. Dice il capo del governo: "Ho visto Noemi non più di quattro volte, l'ho già detto, e tre volte in pubblico. A Roma, accompagnata dalla madre. A Villa Madama".

Nella rievocazione di Berlusconi, Elio non c'è, non è presente. Noemi è accompagnata dalla madre Anna. Nei ricordi di Elio, Anna non c'è e le cose andarono così: "[Noemi] più volte aveva espresso il desiderio di vedere una sfilata di moda dal vivo e avevo chiesto al presidente di accontentarla. Fummo invitati a Roma. Noemi andò subito a Villa Madama. Io rimasi a palazzo Grazioli con Alfredo, il maggiordomo, con il quale vedemmo la partita dell'Italia, un'amichevole con la Grecia". (il Mattino, 25 maggio).

Nel racconto di Elio, non c'è alcun accenno ad Anna, la moglie non è presente a Roma quel giorno, il 19 novembre, né durante il viaggio in treno né a Villa Madama né a palazzo Grazioli dinanzi alla tv con Alfredo, il maggiordomo.

Se le incoerenze di questo affaire invece di sciogliersi s'ingarbugliano ulteriormente con l'ultima puntata, si deve registrare la prima ammissione di Silvio Berlusconi dopo dodici giorni. Nel corso del tempo, il capo del governo ha sempre detto di aver visto Noemi "non più di quattro volte e sempre accompagnata dai genitori". Oggi concede, dopo le rivelazioni di Gino Flaminio, l'ex-fidanzato di Noemi, di aver ospitato la ragazza a Villa Certosa per il Capodanno 2008 senza i genitori: "E' vero, è stata ospite a casa mia a Capodanno insieme a tanti altri ospiti, non capisco perché debba costituire uno scandalo".

Vale la pena ragionare ora sulla parola "scandalo" scelta da Berlusconi. Scandalo non è una festa di Capodanno, naturalmente. Scandalose sono le troppe scene contraddittorie, alcune inventate di sana pianta ("Elio era l'autista di Craxi"; "Ho discusso con Elio di candidature"; "Ho sempre visto Noemi accompagnata dai genitori"), che il premier ha proposto all'opinione pubblica per giustificare il suo legame con una minorenne e smentire le accuse di Veronica Lario.

Ma c'è in queste ore un altro scandalo e prende forma giorno dopo giorno quando un "caso politico" che interpella il presidente del consiglio - quindi, un "caso Berlusconi" - si trasforma in un "caso Noemi" che piomba come un macigno sulle spalle di una famiglia senza potere, nascosta in un angolo di Portici, alle porte di Napoli. Una famiglia oggi smarrita dal clamore che l'assedia, disorientata nell'affrontare una tensione che non è pronta a fronteggiare, priva di punti di riferimento nell'impresa di proteggere se stessa e il futuro di una figlia.

C'è uno squilibrio evidente che non rende onore al più potente che chiede al più debole di difenderlo. Uno squilibrio che diventa impudente quando gli avvocati del premier minacciano di "azioni civili" e quindi economiche contro Gino Flaminio, un operaio che guadagna mille euro al mese, "colpevole" di aver raccontato una "verità" che centinaia di persone hanno avuto per sedici mesi sotto gli occhi.

Appare cinico il calcolo di Berlusconi e la pretesa dei consiglieri dell'"unità di crisi": deve essere la famiglia Letizia a spiegare, a raccontare, a dimostrare. Quest'urgenza, che con ogni evidenza è di Berlusconi non dei Letizia, spinge alla luce del sole una famiglia sempre riservata e gelosa della sua privacy. La obbliga ad affrontare la visibilità delle copertine dei settimanali e la curiosità dei media.

I Letizia non devono spiegare niente a nessuno, in realtà. Non sono né Noemi né Anna né Elio i protagonisti di questo affaire. Il "caso politico" ha un unico mattatore, Silvio Berlusconi, "incaricato di un pubblico servizio". E' questa responsabilità che rende necessario che il presidente del consiglio risponda alle domande che Repubblica gli ha posto. Quelle domande non nascono da un ghiribizzo, ma dalle incoerenze di una versione che non ha retto, finora, alle verifiche ed è apparsa presto soltanto un rosario di menzogne. Sono le tre accuse di Veronica Lario ("frequenta minorenni", "non sta bene", fa eleggere "vergini che si offrono al drago") e le repliche bugiarde del capo del governo all'origine di questo "caso" politico. Non una ragazza e una famiglia di Portici.

22 maggio 2009

Un gran amigo del pueblo argentino


Murió en París Nuri Albala
Por Rodolfo Mattarollo
Venía del Partido Comunista Francés, del que tenía la entrega y la combatividad, no el espíritu sectario ni dogmático. No buscaba nada para sí, salvo esa justificación de la vida que se persigue entregándose sin reciprocidad a la causa de todos. Estoy hablando del abogado francés Nuri Albala, que murió el pasado fin de semana en París y que había sido condecorado por el gobierno argentino en marzo del 2006 en una ceremonia inolvidable en la Alcaldía de París, junto a otras personalidades francesas descollantes en la lucha por los derechos humanos en la Argentina durante la última dictadura militar.
Su amplitud de criterio le permitió ser prenda de unidad para activistas argentinos de derechos humanos, en particular abogados, que se habían exiliado en una Francia que entonces hacía honor al lema “Francia tierra de asilo”. Amigo personal de Sean McBride –único Premio Nobel y Premio Lenin de la Paz al mismo tiempo–, era su réplica discreta por su amplitud y generosidad.
El conocido “Coloquio de París” –tal vez la asamblea internacional más importante que se realizó a la vez para condenar los crímenes de la dictadura y sentar las bases de una ingeniería jurídico-política para la protección de todas las personas contra las desapariciones forzadas– hubiera sido imposible sin su compromiso activo.
No sólo porque todas las reuniones se hacían en su casa, que era al mismo tiempo la sede de su estudio, sino porque era capaz de contribuir a conciliar las posiciones que parecían al principio inconciliables. Tolerante con quienes en función de la vida vivida tenían autoridad para hablar y quienes se la atribuían. Una vez me tocó escribir que “el exilio como la muerte es un gran igualador”.
Qué lo enojaba realmente. Por supuesto el fascismo, pero también las blanduras de la socialdemocracia. En los últimos tiempos, ya muy debilitado por la enfermedad, contra la que luchó heroicamente como contra todo enemigo de la vida, tuvo la enorme satisfacción de comprobar que los argentinos, que habíamos despertado tantas expectativas con nuestra primera comisión de la verdad y el juicio a las juntas, teníamos una segunda oportunidad sobre esta tierra con la anulación de las leyes de impunidad y la apertura y reapertura de los juicios por crímenes de lesa humanidad. Se fue con esa satisfacción histórica el querido amigo, el entrañable y paciente huésped que nos recibía en su casa y nos abría las puertas de su corazón generoso, de su biblioteca, de su alacena y de su inteligencia siempre alerta.

20 maggio 2009

Un nano da Grand Guignol


Il disegno di legge Brunetta, fino a cinque anni di carcere per i fannulloni
Carcere per i dipendenti che si fingono malati o che falsano la loro presenza in servizio. È la riforma Brunetta che prevede fino a cinque anni per i cosiddetti fannulloni. Il decreto legislativo approvato nei giorni scorsi dal consiglio dei ministri è stato inoltrato alle Camere e trasmesso al Cnel, affinchè le parti sociali ne prendano visione. L'esame del testo, ora pubblico, prevede una sanzione penale per i dipendenti che falsificano certificati medici e presenza in servizio che può arrivare alla «reclusione da uno a cinque anni» oltre alla «multa da 400 a 1.600 euro» per false attestazioni e certificati medici.

La sanzione, oltre che per il dipendente, è prevista anche per il medico che si presa a certificare il falso e per il dipendente pubblico che si dichiari in servizio senza esserlo. «Fermo quanto previsto dal codice penale», si legge infatti nello schema del decreto, viene «punito con la reclusione» il dipendente che «attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente». Ferma restando la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, il dipendente è anche »obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione» ma anche il «danno all'immagine subiti dalla pubblica amministrazione». Per il medico la condanna comporta anche la radiazione dall'albo e, se dipendente di una struttura sanitaria, anche il licenziamento «per giusta causa».

L’elenco delle infrazioni che comportano il licenziamento è lungo. La risoluzione del rapporto di lavoro è, ad esempio, prevista in caso di ripetizione di assenze ingiustificate; per ingiustificato rifiuto di trasferimento; per false dichiarazioni ai fini dell'assunzione o della progressione in carriera; per prolungato insufficiente rendimento. Novità sono in arrivo anche per i procedimenti discipliari e il loro rapporto con il procedimento penale: solo i procedimenti più complessi potranno essere sospesi in attesa del giudizio penale.

18 maggio 2009

Lo último

CHAU
Por Mario Benedetti
Te dejo con tu vida
tu trabajo
tu gente
con tus puestas de sol
y tus amaneceres.

Sembrando tu confianza
te dejo junto al mundo
derrotando imposibles
segura sin seguro.

Te dejo frente al mar
descifrándote sola
sin mi pregunta a ciegas
sin mi respuesta rota.

Te dejo sin mis dudas
pobres y malheridas
sin mis inmadureces
sin mi veteranía.

Pero tampoco creas
a pie juntillas todo
no creas nunca creas
este falso abandono.

Estaré donde menos
lo esperes, por ejemplo
en un árbol añoso
de oscuros cabeceos.

Estaré en un lejano
horizonte sin horas
en la huella del tacto
en tu sombra y mi sombra.

Estaré repartido
en cuatro o cinco pibes
de esos que vos mirás
y enseguida te siguen.

Y ojalá pueda estar
de tu sueño en la red
esperando tus ojos
y mirándote.

Murió Mario Benedetti, un amigo

Chau, vate.
Es indecible el dolor de su pérdida. Fue poeta, fue novelista, fue ensayista y, sobre todas las cosas, fue un hombre bueno. Nunca se doblegó ante el Poder. Su muerte deja el vacío grande que dejan los grandes. De su obra nacerán otros poetas, como él siempre quiso, y seguirá vivo en el tiempo. El ya no sufre, descansa ya.

Cuando me entierren / por favor no se olviden / de mi bolígrafo.” El poema pertenece a Rincón de haikus, publicado cuando el gran poeta uruguayo promediaba los 80 y la muerte era una sombra cercana con la que empezaba a dialogar para que no lo sorprendiera, para que no lo aplastara con el peso de su evidencia. Mario Benedetti murió ayer a los 88 años en su casa.

Mario, ese Cupido involuntario que no merece quedar libre de culpa y cargo por la cantidad de parejas que unió, sabía que la vida es un paréntesis entre dos nadas. “Yo soy ateo, no creo en Dios ni nada por el estilo. Hay gente que tiene sus creencias religiosas y tiende a sentir que después de la muerte está el Paraíso, o el Infierno, porque muchos han hecho mérito para ir al Infierno. Yo creo en un dios personal, que es la conciencia”, afirmaba el poeta, que trabajaba en un nuevo libro de poesía cuyo título provisional es Biografía para encontrarme. “Muchos de mis poemas son producto de ser hombre de pueblo, y estar cerca del pueblo siempre ha sido una máxima para mí. Lo mejor que me pudo haber pasado en la vida es que lo que escribo le haya tocado el corazón a esa gente, a ese pueblo, a ese hombre de a pie.” Las lágrimas, esta vez, no tienen tregua posible. Y por favor, pensarán muchos ahora que hay que despedirse del compañero, no se olviden del bolígrafo de Mario.

17 maggio 2009

Medioveo


Non ci resta che vergognarci
L'articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, riguardante il "Divieto d'espulsione e di rinvio al confine", dice: "Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.

E l'articolo successivo, sulla naturalizzazione, aggiunge: "Gli Stati Contraenti facilitano, entro i limiti del possibile, l'assimilazione e la naturalizzazione dei rifugiati. Essi si sforzano in particolare di accelerare la procedura di naturalizzazione e di ridurre, per quanto possibile, le tasse e le spese della procedura".

Ieri l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), Lauren Jolles ha detto chiaramente al nostro ministro degli interni Roberto Maroni che "la nuova politica inaugurata dal governo si pone in contrasto con il principio del non respingimento sancito dalla convenzione di Ginevra del 1951, che trova applicazione anche in acque internazionali: questo fondamentale principio, che non conosce limitazione geografica, è contenuto anche nella normativa europea e nell'ordinamento giuridico italiano".

Siamo riusciti a violare la Convenzione di Ginevra del 1951, e anche la Convenzione di Dublino del 1997, ma soprattutto, e questo è un nodo interessante, l'articolo 10 comma 3 della Costituzione Italiana: "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Il 70 per cento degli irregolari sbarcati sulle coste italiane ha chiesto la status di rifugiato. Provengono da paesi dittatoriali, persecutori, e disumani. Ma il ministro Maroni respinge le obiezioni dell'Alto Commissario e dice: "non ci fermiamo". E chiede fumosi tavoli tecnici, anche con la Libia, per risolvere il problema. Aggiunge: se ne faccia carico l'Unione Europea.

Siamo riusciti a violare la Convenzione di Ginevra, e sarebbe curioso capire se il ddl sulla sicurezza non violi anche i principi costituzionali. Ma in ogni caso siamo senza umanità e senza vergogna. Come un paese barbaro, incapace di rispettare un testo approvato 60 anni, e cardine irrinunciabile di qualsiasi paese civile e democratico. Altro che propaganda, molto peggio. Non ci resta che vergognarci.

16 maggio 2009

Berlusconi en el mundo

Ma in che paese vivi tu!


“Schedare i clochard!”. Il governo pretende di sapere il “domicilio” dei barboni
di Stefano Corradino

Tra le tante esaltanti misure del ddl sicurezza appena licenziato dalla Camera (le ronde, i sindaci sceriffi, il carcere per chi affitta ai clandestini…) ce n’è una davvero geniale: presso il Viminale sarà istituito un Registro nazionale dei clochard. Per loro, si legge nelle anticipazioni, viene stabilito anche l’obbligo di dimora. In base alla nuova norma i “clochard” che non avranno comunicato un domicilio all’anagrafe comunale non saranno “in regola”.
Quello che elegantemente alla francese viene battezzato come "clochard" è da noi più volgarmente conosciuto come "senzatetto" ("homeless" per gli inglesi), una persona senza fissa dimora. Un barbone. Questo lo distingue dal rom, il cosiddetto popolo nomade che, per definizione, pratica il nomadismo cioè una forma di mobilità (spesso voluta, talvolta forzata) per motivi economici e anche per tradizione storica e culturale.
Fare un Registro nazionale dei nomadi sarebbe difficile da realizzare. Un fascicolo troppo provvisorio e da aggiornare continuamente a seconda degli spostamenti (talvolta voluti, spesso forzati).
Istituire un Registro dei clochard è invece un'idea brillante, innovativa che solo alcune fulgide menti possono elucubrare.
Qualche anno fa ho partecipato a Natale ad una delle stupende (queste sì) iniziative promosse dalla Caritas per dare ai clochard un pasto caldo, in un luogo asciutto dove tanti giovani volontari dispensavano sorrisi sinceri. Mi ricordo di aver conosciuto Osvaldo, Pina, Luigina, Maria Concetta. E Agostino che ancora mi saluta, alzando gli occhi dalla coperta/cartone quando passo alla stazione Termini per andare a prendere il treno.
Ora che il ddl diventerà legge (nonostante le proteste di piazza di alcuni partiti e associazioni e di parte della Chiesa - quella parte che non fa notizia) Agostino si recherà all'anagrafe comunale. Lo farà puntualmente il lunedì mattina all'indomani dell'entrata in vigore. Dopo una lauta colazione consumata sul marciapiede comunicherà la sua residenza abitativa: "seconda panchina a sinistra in piazza dei Cinquecento guardando l'ingresso della stazione ferroviaria dalla parte del parcheggio dei bus". Indicazione perfetta, millimetrica. Ma un funzionario scrupoloso, non pago della generica informazione gli chiederà ulteriori dettagli sulla fissa dimora. E il solerte Agostino procederà nella descrizione: "Panchina color grigio perla, finiture lignee laccate ma un po’ ombrate dalle intemperie, stile tardo neoclassico". Anzi ci ripenserà: "E' art nouveau, fine ottocento, primo novecento". Stile moderno, industriale ma fantasioso, di solito molto floreale. "L'appartamento è ammobiliato?" lo incalzerà lo zelante impiegato. "Semiammobiliato", risponderà pronto Agostino. "Di fatto c'è solo il letto. Per carità è comodissimo. Deve essere di quelli ortopedici perché ci sono le doghe. Un'unica pecca: il bagno è fuori. Come le case di una volta. Ma tanto ormai è estate..." Agostino esce fiero dall’ufficio e torna nella sua confortevole abitazione. Senza numero civico ma con vista sulla grande piazza antistante la stazione. Prima di adagiarsi sulla sua panchina in legno massello scorge una pagina di giornale incastrata tra le doghe: nel “piano case” del governo è previsto un aumento delle cubature! “Stupendo”, esulta Agostino. “Magari mi costruisco il poggiapiedi”…

15 maggio 2009

Legge razziale


Il capogruppo dell'Idv Massimo Donadi ha dichiarato che "non c'è un briciolo di sicurezza in questo testo, solo demagogia. Si finanziano le ronde, che sono l'anticamera della polizia di partito, e si tolgono soldi alle forze di polizia". Per il Pd, Marco Minniti ha parlato di "un sonno mostruoso della ragione", e di "una fiducia posta contro la libertà della stessa maggioranza".

Questo in dettaglio le norme principali.

NEI CIE FINO A 180 GIORNI - L'extracomunitario potrà rimanere nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) fino a 180 giorni. Ora il periodo è di due mesi.

TASSA DI 200 EURO PER AVERE CITTADINANZA - Per avere la cittadinanza si dovranno pagare 200 euro. Per il permesso di soggiorno invece la tassa sarà fissata dai ministeri dell' Interno e dell'Economia tra gli 80 e i 200 euro.

CARCERE SE SI AFFITTA A CLANDESTINI - Si rischia il carcere fino a tre anni se si dà in alloggio o si affitta anche una stanza a stranieri che risultino irregolari al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione. Ma ci deve essere un ingiusto profitto.

MATRIMONIO CON MUSULMANE - Per sposare una donna musulmana l'italiano dovrebbe convertirsi. Con la norma introdotta basterà che, con quelle provenienti da alcuni Paesi con i quali si è raggiunta un'intesa, ci sia una dichiarazione anche dell'ambasciata che non risultino casi ostativi per riuscire a contrarre matrimonio. Senza bisogno di conversione.

REGISTRO DEI CLOCHARD - I senza fissa dimora saranno schedati in apposito registro istituito presso il Viminale.

SÌ ALLE RONDE - Associazioni di cittadini potranno segnalare alle forze dell'ordine situazioni di disagio sociale o di pericolo. Saranno iscritte in elenchi e prioritariamente dovranno essere formate da ex agenti.

CARCERE FINO A TRE ANNI SE SI OLTRAGGIA PUBBLICO UFFICIALE - Chi insulta un pubblico ufficiale rischia fino a 3 anni di carcere. Ma se si risarciscono agente ed Ente a cui questo appartiene, il reato si estingue. Nessuna condanna se è il pubblico ufficiale ad aver commesso atti arbitrari.

INTATTI POTERI PROCURATORE ANTIMAFIA - Li avevano limitati, ma ora si è tornati alla legge attuale. Pietro Grasso aveva chiesto che la norma del ddl cambiasse e c'è riuscito.

INASPRITO IL 41 BIS - Detenzione più lunga di altri 4 anni. Si prevedono carceri «ad hoc» per i boss preferibilmente sulle isole. Più difficile per loro comunicare anche con l'esterno.

NASCE ALBO PER BUTTAFUORI E AMMINISTRATORI GIUDIZIARI - Anche i 'gorilla' che vigilano sulla 'pace' fuori dai locali dovranno avere particolari requisiti (li deciderà il Viminale) e avranno avere presto un loro albo. E un Albo ad hoc lo avranno anche gli amministratori giudiziari.

PIÙ DIFFICILI NOZZE CON BADANTE - Lo straniero che sposa un cittadino italiano dovrà restare in Italia per almeno due anni prima di ottenere la cittadinanza. I tempi si dimezzano se nascono o se si adottano figli.

NO RICONOSCIMENTO E ISCRIZIONE ANAGRAFE PER FIGLI IRREGOLARI - Per accedere ai pubblici esercizi gli stranieri dovranno esibire il permesso di soggiorno (tranne che per l'iscrizione dei figli alla scuola dell'obbligo). Altrimenti, essendo la clandestinità un reato, scatterà l'obbligo della denuncia. Le madri irregolari non potranno iscrivere i propri figli all'anagrafe e quelle sprovviste di passaporto non potranno neanche riconoscerli rendendoli così subito adottabili.

OBBLIGO DENUNCIA PIZZO PER COSTRUTTORI - Per partecipare alle gare d'appalto i costruttori dovranno denunciare ogni tentativo di estorsione ai propri danni. Basterà anche una semplice dichiarazione di un pentito in un altro procedimento per estrometterli dalla gara. Avevano provato a cambiare la norma prevedendo che l'imprenditore dovesse diventare imputato prima di poter essere fatto fuori dall'appalto, ma poi è tornata alla versione originaria su richiesta della Lega.

10 maggio 2009

Di pura razza italiana


Berlusconi: «Non vogliamo un'Italia multietnica»

«Nella politica dei rimpatri nessuno scandalo». E poi : «La Bossi-Fini non cambierà». Respinti in mare altri 162 migranti. Santa Sede, Cei e Osservatore bocciano la politica dell'esecutivo. Pd: «Lesi i diritti umani». Bossi: «Le nostre idee fanno strada».

"Leggi razziali” non è una frase eccessiva. È una descrizione letterale e corretta che Franceschini, segretario del Pd, ha detto con tragica esattezza per descrivere il “pacchetto sicurezza” della Lega.

La stella gialla che i Radicali indossano in questi giorni di una campagna elettorale dalla quale saranno esclusi con rigoroso rito mediatico, non è una trovata frivola o offensiva, come è stato detto. È la rappresentazione di un fatto. L’elenco delle illegalità, negazioni e sopraffazioni contro libertà fondamentali italiane, secondo i Radicali, è lungo e comincia subito, quando è ancora fresca la firma di Terracini in calce alla nostra Costituzione, nel 1948.

9 maggio 2009

Razzismo sotterraneo


Processiamo i leghisti per istigazione all'odio razziale

di Roberto Cotroneo
Una certa vergogna comincia ad assalirmi. Dopo lo strano caso del dottor Berlusconi e la signorina Noemi, su cui i giornali di tutto il mondo (anche quelli di destra) si sono letteralmente scatenati (ma tanto i giornali stranieri in Italia non li legge nessuno), ora siamo alla solita vergogna leghista. Una vergogna non solo perché vorrebbero i treni della metropolitana divisi: i milanesi da una parte e gli immigrati dall'altra. Questo è palese: siamo oltre l'incostituzionalità, siamo in piena violazione della carta dei diritti dell'uomo. Nessuno ci crede, è una cosa non applicabile, e che non si verificherà mai. Lo sanno anche i leghisti probabilmente, ma lanciano provocazioni per due motivi, entrambi beceri e insopportabili. Il primo è una sorta di calcolo politico, di propaganda: alla vigilia delle europee, dopo un evidente appannamento di consenso, si prova con le battute per raccogliere un po' di elettorato razzista. E questo è di per sé vergognoso.

Il secondo è peggio: il secondo è andare a infiammare un humus che andrebbe tenuto a bada. È una marcia di avvicinamento verso un razzismo sempre meno latente, che senza certe uscite non avrebbe nessuna realtà, ma rimarrebbe tenuto sottotraccia, come quelli che stanno attenti a non mettersi le dita nel naso in pubblico.Pensare a una metropolitana milanese e a una metropolitana magrebina, se non fosse un'uscita tragica, farebbe ridere. Come decidono di far salire su un treno un milanese e non un nordafricano? Con il certificato di residenza? Con il permesso di soggiorno? Oppure brutalmente con il colore della pelle? In Europa e negli Stati Uniti sono allibiti. E ci guardano come degli incivili. Ma i leghisti sanno che le loro sono sciocchezze che lasciano un segno: se si possono dire e pensare queste cose, si può disprezzare con meno vergogna gli stranieri e quelli diversi da te. Chi ha fatto questa proposta, anche solo come boutade, dovrebbe essere processato per istigazione all'odio razziale. Mi auguro che avvenga. Diventeremmo un paese civile e serio. E soprattutto giusto.

8 maggio 2009

La legge della selva



Destino predeterminato per Veronica Lario

6 maggio 2009

Il triangolo delle Bermude

Veronica - Papi - Noemi


È ormai un caso pubblico: Berlusconi va trattato come una persona che non sta bene, che va con le minorenne. È grave, specie se il nostro premier si mostra come un esempio per la nostra gioventù.
Lui si difende a spada tratta. Chiede che gli si chiedano scuse pubbliche, dice che la moglie è stata ingannata, che è caduta in un trannello della sinistra. Minaccia con spiferare non si sa bene che cose sul conto di sua moglie. Va da Vespa e piange, si sente vittima...e come tutti gli uomini dichiara che a casa nessuno lo capisce.

Per chiarire meglio la situazione agli italiani fa pubblicare dai sui giornali e riviste le foto innocenti della festa di Noemi, la povera ed innocente fanciulla appena diciottenne, che hanno scatenato il putiferio.

Adesso tutti parlano di foto taroccate, ci sono siti in Internet che hanno preso con ironia il fatto e chiedono ai lettori di blog di truccare la famosa foto del brindisi e aggiungere qualche didascalia.

Ma nessuno ce l'ha la foto vera, quella che lo assolve da tutte le colpe. E allora, ecco qua la foto, senza veli e senza tacchi, che dimostra l'altezza del nostro premier tra altri invitati vip e l'innocenza con cui si è vissuta la festa di quella notte.

3 maggio 2009

Quando la Chiesa chiede scuse...


...le parole non costano niente

di Vania Lucia Gaito
In quanto a scuse, la Chiesa cattolica non le lesina di certo: si scusa con gli ebrei (dopo aver revocato la scomunica ai lefevbriani), si scusa con le vittime dei preti pedofili (guardandosi bene dal cacciarli dalle gerarchie ecclesiastiche), e, dulcis in fundo, si scusa con gli indigeni del Canada per la "deplorevole condotta" dei sacerdoti e delle suore all'interno delle scuole residenziali canadesi.

Le scuse non solo non costano nulla e fanno fare bella figura, ma non cambiano neppure una virgola dello stato delle cose. Parole. Ecco: le scuse sono solo parole. Quanto ai fatti, c'è invece parecchio da dire.Intanto, la notizia dell'incontro di Ratzinger con Phil Fontaine, Grande Capo dell'Assemblea delle Prime Nazioni del Canada, e con l'Arcivescovo James Weisgerber, presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici del Canada, insieme ad altri leader e rappresentanti indigeni, sui giornali è passata quasi sotto silenzio. Argomento scomodo, si sa, meglio non sollevare clamore.

Nel corso dell'incontro, Benedetto XVI ha ricordato, come sottolinea una nota del Vaticano "come fin dai primi giorni della sua presenza in Canada la Chiesa, soprattutto attraverso il suo personale missionario, abbia accompagnato da vicino le popolazioni indigene". Inoltre, il Papa ha "espresso il proprio dolore e l'angoscia provocati dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa e ha mostrato la propria simpatia e solidarietà". L'arcivescovo James Weisgerber, inoltre, si è fatto portavoce delle difficoltà che gli indigeni canadesi vivono tuttora: "I popoli aborigeni continuano ad essere emarginati e impoveriti. Le loro necessità sociali, economiche e culturali sono oggi così urgenti che tutti i canadesi devono compiere nuovi e decisi sforzi per collaborare con le popolazioni indigene per assicurare loro rispetto, accettazione e uguaglianza". Nobilissimi sentimenti, nobilissime parole. Ma, di fronte ai fatti, si rivelano per quello che sono: parole e nient'altro. Vediamo di fare un po' di chiarezza.

La "conquista del Canada" avvenne ad opera prima dei francesi e poi degli inglesi. I francesi arrivarono nel 1534, e dal 1615 arrivarono in Canada i primi missionari cattolici, che tentarono di convertire gli indigeni dei luoghi dove si stabilirono. La dominazione francese durò fino al 1763, quando, al culmine della guerra dei Sette Anni, il Canada passò sotto la dominazione della Gran Bretagna. E' importante sottolineare che, quando i francesi giunsero sul territorio canadese, lo trovarono abitato da popoli giunti lì molte migliaia di anni prima, che si dedicavano alla coltivazione, alla caccia al bisonte e vivevano in comunione con la terra. In base a quale principio, dunque, presero possesso, in nome del re Francesco I, del territorio canadese?

Tutto comincia il 4 maggio 1493, con un Papa, Alessandro VI Borgia, e una bolla. La bolla è conosciuta come "Inter caetera Divinae", e con essa l'allora pontefice, in virtù della Donazione di Costantino (documento rivelatosi in seguito assolutamente ed incontrovertibilmente falso), "donava" a sua volta le terre scoperte da Colombo ai sovrani di Spagna e Portogallo, purchè si obbligassero a convertire i popoli indigeni alla religione cristiana. Un'altra bolla, emanata da Niccolò V nel 1455, autorizzava i popoli "civilizzatori" a invadere, ricercare, catturare, vincere e soggiogare i pagani, a schiavizzarli e a confiscare le loro proprietà. Del resto, le bolle trovavano legittimazione nel Deteuronomio: "Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso e ne avrà scacciate davanti a te molte nazioni [...] quando il Signore tuo Dio le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia. Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché allontanerebbero i tuoi figli dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l'ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe. Ma voi vi comporterete con loro così: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco i loro idoli. Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato fra tutti i popoli che sono sulla terra.

"La sorte degli indigeni canadesi era quindi già scritta. Il potere religioso e quello politico-economico si allearono, come sempre accade, con due diversi obiettivi: il primo, quello politico-economico, mirava ad appropriarsi delle terre degli indiani canadesi per lo sfruttamento, soprattutto dei boschi, il secondo, quello religioso, mirava alla conversione (anche forzata) al cristianesimo. Per fare questo fu necessario approntare un'apposita commissione che affrontasse il problema dell'assimilazione degli indigeni. Nacque così la commissione Bagot, sostenuta dal Vaticano, che studiò il problema e indicò le linee guida di quello che sarebbe stato l'Indian Act, uno dei documenti più vergognosi che siano mai stati emessi.

Con l'Indian Act, gli indigeni divenivano "cittadini di seconda classe", e potevano essere arrestati, imprigionati, privati dei loro beni e delle loro terre anche senza giustificazioni. Ma non bastava. L'obiettivo dell'assimilazione prevedeva anche che i bambini indiani, alle soglie dell'età scolare, venissero sottratti (spesso forzatamente) alle loro famiglie, per essere rinchiusi in quelle che vennero chiamate Scuole Residenziali, che nei fatti si rivelarano veri e propri lager. La tutela legale dei bambini indiani veniva tolta ai genitori e assegnata al direttore della scuola di cui facevano parte, che in pratica poteva disporre delle loro vite come voleva. E quello che accadde ai bambini indigeni canadesi ha un unico nome: genocidio.

All'interno delle scuole residenziali, oltre il 60% delle quali era retta da religiosi cattolici, fu messo in opera il dictat alla base dell'Indian Act: l'assimilazione o l'annichilimento. E fu l'annichilimento, fin dal principio. Ai bambini veniva assegnato un numero, come nei campi di concentramento nazisti, e dovevano sottostare a regole rigidissime: era proibito parlare la propria lingua, era proibito qualsiasi contatto con la famiglia d'origine, era proibito professare la propria religione o dedicarsi ad attività "da indiani" come intagliare il legno, era proibito perfino ridere. La disciplina rigidissima mirava al totale annichilimento della volontà. I bambini furono torturati, picchiati, violentati e uccisi in modo terribile. Massacrati a calci e pugni, buttati fuori dalle finestre, impiccati, frustati fino alla morte, torturati e uccisi con scariche elettriche, passati di mano come merce sessuale, sodomizzati, sottoposti ad esperimenti medici terrificanti, forzatamente sterilizzati, deliberatamente esposti alla tubercolosi, costretti di fatto alla schiavitù e costantemente vittima del terrore.

I loro cadaveri furono sepolti ovunque, nei dintorni delle scuole residenziali, o gettati nei boschi e nei dirupi. In pochissimi sopravvissero alle infamie e alle torture. Legittimate dal governo canadese, le scuole residenziali furono i lager del Canada, votati allo sterminio di un intero popolo, colpendo dove era più falice e soprattutto dove i risultati sarebbero stati decisivi: distruggendo i bambini. I pochi sopravvissuti oggi sono in gran parte sbandati, spesso suicidi, votati all'autodistruzione perchè quello che hanno loro inculcato era la loro indegnità a vivere, spesso dipendenti da alcol e droghe, nel migliore dei casi senza più radici certe e con un bagliaglio di ricordi terrificanti.Suonano dunque quasi beffarde, le parole di Giovanni Paolo II del 18 settembre 1984, quando rivolse un messaggio radiotelevisivo alle popolazioni indigene del Canada: "Sono al corrente della gratitudine che voi, popoli Indiano e Inuit, avete nei confronti dei missionari che hanno vissuto e sono morti tra di voi. Ciò che essi hanno fatto per voi è ben noto a tutta la Chiesa; è noto al mondo intero. Questi missionari hanno cercato di vivere la vostra stessa vita, di essere come voi per servirvi e per portarvi il Vangelo di salvezza di Gesù Cristo. [...] I missionari rimangono tra i vostri migliori amici, dedicano la loro vita al vostro servizio, perché predicano la parola di Dio.

"Il governo canadese ha chiesto scusa alle popolazioni indigene appena un anno fa. Alle vittime, il governo canadese ha offerto un risarcimento di 5 miliardi di dollari. L'ultima scuola residenziale fu chiusa nel 1996. Solo sulla West Coast canadese vivevano 2.000.000 di indigeni. Oggi sono poco più di 20.000. Le scuole residenziali hanno funzionato, lo sterminio ha avuto successo.Buona ultima, si dispiace anche la Chiesa cattolica, a cui non verranno chiesti risarcimenti, poichè il governo del Canada proibisce qualsiasi tentativo di rivalsa legale nei confronti degli esecutori materiali del genocidio: la Chiesa cattolica e la Chiesa Unita del Canada. A Ratzinger le scuse non costano quindi proprio nulla, e del resto il Vaticano si è ben guardato dall'assumersi responsabilità per quanto accaduto. Come nel caso dei preti pedofili, nel caso dei religiosi genocidiari si trattava di "casi isolati".

Suscita tuttavia perplessità il comportamento di Ratzinger, soprattutto alla luce di quanto avvenuto a luglio del 2008. Vale la pena ricordarlo, considerando che anche in quel caso sui giornali è comparso ben poco. Lo scorso anno il Concilio Internazionale delle 13 Anziane Indigene, un organismo che si occupa della tutela delle diverse culture mondiali, chiese udienza a Benedetto XVI. Lo scopo delle Tredici Anziane era quello di consegnare al Papa una dichiarazione con la quale si chiedeva di recedere dalla bolla papale che ha dato origine alla colonizzazione delle terre indigene e dai documenti e bolle papali che dimostrano come il papato abbia svolto un ruolo preponderante nel genocidio nordamericano. L'udienza pubblica fu concessa con un permesso scritto, ma le Anziane si ritrovarono di fronte ad un palazzo vuoto: Ratzinger aveva improvvisamente deciso di ritirarsi a Castel Gandolfo "per riposare in previsione del viaggio in Australia". Comportamento quanto meno poco cortese. Senza contare l'atteggiamento delle forze dell'ordine nei confronti delle Tredici Anziane che, comunque, si erano riunite in preghiera a piazza San Pietro: quattro funzionari di polizia del Vaticano chiesero alle donne di interrompere la cerimonia di preghiera sostenendo che tali preghiere fossero in contraddizione con gli insegnamenti della Chiesa, affermando che il gruppo violava la politica del Concilio Vaticano II e accusando le Tredici Anziane di idolatria.

A distanza di un anno, Ratzinger "ha sottolineato che gli atti di abuso non possono essere tollerati nella società. Ha pregato perché tutte le vittime sperimentino la guarigione e ha incoraggiato i Popoli delle Prime Nazioni ad andare avanti con rinnovata speranza" (Comunicato della Sala Stampa del Vaticano) ed ha espresso il proprio dolore. Tanto, le parole non costano niente.

2 maggio 2009

1909 - 1º de Mayo - 2009


Tras cien años de impunidad
Por Oscar González
Hace cien años, el 1º de mayo de 1909, algunos miles de manifestantes obreros, sobre todo anarquistas, se concentraron en la plaza Lorea para conmemorar el Día del Trabajo. Era una soleada tarde de sábado. Cuando la multitud se retiraba, la policía montada cargó contra ella y disparó a la espalda de aquellos hombres y mujeres. Hubo ocho muertos y 40 heridos, algunos muy graves, que murieron en los días siguientes. El coronel Ramón Falcón, jefe de policía, estaba a pocos metros de allí y dio personalmente la orden de la masacre.
Ninguno de los asesinos sufrió ninguna sanción, a pesar de que el Partido Socialista, en otro acto celebrado ese mismo día, pocas horas después, lanzó una huelga general en repudio a “la masacre proletaria, exigiendo la renuncia del jefe de policía, coronel Falcón, reclamando la instrucción de un sumario y el castigo de los culpables”. Durante ocho días, 300.000 trabajadores mantuvieron la huelga. El gobierno de José Figueroa Alcorta, consecuente con su política represiva, declaró el estado de sitio, mandó ocupar la ciudad con 5000 efectivos del Ejército y mantuvo a sus esbirros en la más completa impunidad. Esa era la Argentina del Centenario para la clase trabajadora.
Para la oligarquía que entonces gobernaba, y que ya ensayaba los fastos con que se autocelebraría en 1910, en cambio, era el país “de los ganados y las mieses”, el paraíso agrario de los terratenientes que cantó Leopoldo Lugones, y que muchos proponen aún hoy como la imagen de la Patria misma, de los rentistas rurales, empeñados en resistir cualquier redistribución de la riqueza a favor de los pobres y de los marginados.
Mucha sangre de trabajadores ha corrido desde entonces en la Argentina. Tal vez baste con citar, en una nómina incompleta, la Semana Trágica de 1919, las huelgas de la Patagonia en 1921 y 1922, el bombardeo de Plaza de Mayo en 1955, la matanza sistemática de la última dictadura, los asesinatos de Maximiliano Kosteki y de Darío Santillán, ejecutados hace apenas siete años. En todos los casos, detrás de los que hacían fuego estaban los nostálgicos de esa época en la que los herederos de las familias privilegiadas tiraban manteca al techo en París y se acuñaba en el mundo la frase “rico como un argentino”, mientras los hijos de la clase obrera eran fusilados en una plaza de Buenos Aires.
Hoy, a un año de que se celebre el Bicentenario, con cada mínimo avance hacia una sociedad que no tolere la impunidad de los terroristas de Estado, que haga de la igualdad el más preciado de sus valores, que enfrente los abusos del poder económico, que proteja el trabajo, aumenta el odio de clase de los que no están dispuestos a admitir la menor limitación de sus privilegios. El centésimo aniversario de la masacre de plaza Lorea es un buen motivo para que cada uno reflexione acerca de qué país quiere que en 2010 festeje los doscientos años que habrán transcurrido desde la Revolución de Mayo.