28 marzo 2009

Obesità mentale


Berlusconi, il vecchio

di Roberto Cotroneo
Però qualche domanda bisognerebbe farsela. Perché dopo l’intervento di ieri di Berlusconi al congresso della Pdl ci sono alcune cose che stridono tra loro. Ogni volta che definiamo Silvio Berlusconi un uomo dell’antipolitica, un disco rotto che ripete sempre le stesse cose, uno che si occupa soltanto dei suoi affari e lo fa con assoluta determinazione, un narcisista che fa gaffe su gaffe, che ricorre alla chirurgia estetica in modo evidente e grottesco. Che non ha niente in cui una persona con un minimo di buon senso possa riconoscersi, e parlo anche di persone di destra.

Ogni volta dicevo che si incomincia questo discorso c’è un politico, un sociologo, un analista politico di fine lettura, un giornalista attento ai fenomeni di massa che ti rimprovera: "nessuno di voi ha capito Berlusconi, perché Berlusconi è uno che intercetta l’elettorato, perché Berlusconi è una sorta di rabdomante, uno che trova l’acqua nei deserti, perché Berlusconi è uno che vince sempre, e se vince un motivo ci sarà". E soprattutto: "perché Berlusconi è la modernità, è uno che ha trasformato in vecchio tutto quello che c’era prima; non solo ha spazzato le ceneri del vecchio centro destra, ma ha messo in una vetrinetta antica l’intera sinistra".

Va bene. Non si è capito nulla, e forse le cose stanno proprio così, ma il Berlusconi di ieri non è uno che intercetta, ma è uno che è rimasto uguale al paese del 1994, è uno che torna ancora a dire che questa sinistra non cambierà, è uno che – in un mondo profondamente cambiato da allora – usa gli stessi stilemi, gli stessi luoghi comuni e agita gli stessi fantasmi di quando scese in campo, di quando entrò in politica. E allora? Se vince con questo armamentario, se le armi sono sempre le stesse non vuol dire che lui è moderno, che lui è il futuro, e non lo abbiamo capito. Ma vuol dire che probabilmente esiste un elettorato di centro destra, quel 51 per cento a cui aspira Berlusconi, che è ancora più vecchio del suo leader, che è più ignorante, che pensa ancora alla sinistra come a qualcosa di cattivo.

Forse non è Berlusconi l’elemento modernità, ma Berlusconi è soltanto un po’ meno vecchio dei suoi elettori, che sono culturalmente e socialmente decrepiti. Invecchiati con le sue televisioni. Intercettati da sua Emittenza, come veniva chiamato un tempo, nel modo più prevedibile possibile. Altro che modernità.

Forse per disinnescare Berlusconi bisognerebbe fare in questo modo. Continuare a far passare un messaggio, vero, non di propaganda: Berlusconi è vecchio, e sono vecchi tutti quelli che stanno accanto a lui. Non è il nuovo, è il vecchio. E ieri questa vecchiaia politica e culturale si è vista tutta.

27 marzo 2009

Testamento biologico inutile


Il testamento biologico non esiste più.
La volontà personale non è più vincolante.
Esulta la Chiesa.

Con 150 voti a favore 123 contrari e 3 astenuti il ddl sul testamento biologico passa l’esame del Senato. Hanno votato a favore Pdl, Lega e Udc, contrari Pd e Idv. A favore, in dissenso dal loro gruppo, per ragioni diverse, hanno votato i senatori del Pdl Ferruccio Saro, Lucio Malan, Laura Bianconi, Marcello Pera e Antonio Paravia. Nell’opposizione voto di dissenso dal gruppo dai senatori Pd Claudio Gustavino ed Emanuela Baio. Ora il testo passa all’esame della Camera.

Pera ha votato contro perchè, secondo lui, non era necessario legiferare su questa materia, visto che «dall'articolo 2 della Costituzione si ricava il divieto all'eutanasia e dall'articolo 32 si ricava il divieto all'accanimento terapeutico». Di Baio e Gustavino, senatori teodem del Pd, invece hanno dato il loro via libera al ddl: la prima sostiene di averlo fatto perché «il testo afferma in modo chiaro il valore principe della vita anche nel momento in cui è in condizioni di difficoltà». Gustavino lo apprezza perché «non lascia alcuno spazio all'eutanasia».

Di certo, entrambi non sono d'accordo con le parole dette in Aula dalla capogruppo dei democratici, Anna Finocchiaro, secondo la quale questo ddl «è fondato sul tradimento e su parole ingannevoli». Spiega la Finocchiaro: «Il suo titolo dice “Disposizioni in materia di dichiarazioni di volontà anticipate”, e dunque gli italiani sono portati a credere che chi esprimerà una propria volontà, sia essa quella che chiede di essere mantenuto in vita artificialmente il più a lungo possibile, sia quella di finire la propria vita naturalmente, questa volontà sarà rispettata. Non è così: quelle dichiarazioni di volontà – prosegue Finocchiaro – non sono vincolanti, potranno essere comunque disattese e il tradimento arriverà nel momento della maggiore debolezza, quando non ci sarà più la possibilità di dire “no” e dire “sì”».

«Voi – incalza la capogruppo Pd – vi state arrogando il diritto di sostituirvi a ciascun uomo, di scambiare la sua volontà con la vostra. Nessuno, niente, vi autorizza salvo la vostra prepotenza. Non vi autorizza la Costituzione, che state allo stesso modo tradendo e non vi rendete conto, proprio voi che vi chiamate Popolo delle libertà, (la vostra, suppongo) di quanto il pensiero cattolico democratico seppe, in quell'articolo 32 della Costituzione, difendere la libertà e la dignità umana (così intimamente connesse da non poter essere scisse) contro l'orrore e la violenza della volontà di Stato nell'imposizione di pratiche sanitarie sui corpi».

Il testo approvato in Senato, infatti, porta con sè un emendamento dell'Udc, che cancella, di fatto, la vincolatività delle dichiarazioni anticipate di trattamento (dat) per i medici. Secondo il relatore Raffaele Calabrò si trattava di «tener conto delle valutazioni del medico» visto che ci possono essere progressi della medicina che vano presi in considerazione e ha definito il testamento biologico «non rigido» e sottoposto alla valutazione del medico. Una modifica, che per il senatore del Pd, Ignazio Marino, avrà una sola conseguenza: quella che qualsiasi dichiarazione del malato sarà «ormai del tutto priva di senso». Inoltre, un altro emendamento approvato all'articolo 4 prevede che le dichiarazioni anticipate di trattamento hanno validità per un periodo di tre anni e non più di 5 anni, come era stato deciso in Commissione Sanità. Infine, le Regioni dovranno assicurare assistenza domiciliare per i soggetti in stato vegetativo persistente, come previsto dall'articolo 5 del ddl.

Un presidente operaio


Berlusconi: «Chi è licenziato si trovi qualcosa da fare»
Se Silvio Berlusconi fosse in cassintegrazione cercherebbe «un'altra possibilità, una attività diversa, magari in un negozio o una cosa commerciale».

Il presidente del Consiglio lo dice mentre visita il termovalorizzatore di Acerra. «Non starei lì, avendo la cassintegrazione a non fare nulla», spiega il premier «cercherei di fare qualcosa».Ieri aveva esortato i disoccupati: «Chi è stato licenziato si trovi qualcosa fare, io non starei con le mani in mano...». «Io spero comunque che si faccia di tutto affinchè non si lasci nessuno a casa - ha aggiunto - Anche gli imprenditori si devono inventare qualcosa».

26 marzo 2009

25 marzo 2009

Para no ser cipayo


Coloniaje mental
Es siempre perentorio libertar a la política, a la escuela, al colegio, a la Universidad, de todo coloniaje mental, porque de tal sumisión resulta en nuestros países la entrega de su economía, de su política, de su cultura. (Documento liminar. Reforma Universitaria. 1918.)

Por Proyecto Sur
La actual crisis mundial no es meramente económica o financiera; manifiesta un cambio de época que cierra el ciclo histórico de la Revolución Industrial y la Edad Contemporánea. Su magnitud y naturaleza obliga a pensar respuestas creativas ante este colapso, que evoca las grandes crisis de 1873 a 1895 y la de los años treinta. También ahora se trata de una crisis de sobreproducción por carencia de demanda, cuyo origen se sitúa en la polarización de la riqueza mundial: el 20 por ciento de los sectores más ricos concentran el 87 por ciento de los ingresos.

La globalización neoliberal ha exacerbado durante las últimas décadas esta polarización, gestando una inmensa masa de población sobrante que supera los dos mil quinientos millones de personas en el planeta. Nuevos polos económicos como China e India comenzaron a disputar los mercados, que hasta los ochenta dominaban Estados Unidos, la Unión Europea y Japón, planteando condiciones de sobreproducción al no complementarse con una redistribución de la riqueza, para garantizar la demanda internacional correspondiente. Esa sobreproducción llevaría a los capitales financieros que no encuentran oportunidades de inversión en la economía real a volcarse a la especulación sin límites.

Durante más de veinte años, la economía mundial crece sobre la base ficticia de una valorización financiera basada en papeles pintados –acciones, compras a futuro, primes o subprimes, hedge funds y similares– carentes de todo respaldo: hacia 1983 el monto total de activos financieros disponibles era equivalente al producto mundial; pero hasta fines de 2007 había crecido en un 1800 por ciento, gracias a esa especulación. La resistencia de Estados Unidos a aceptar su declinación como líder económico, financiero y militar del sistema imperialcapitalista se traduce en una gigantesca deuda que desintegra el supuesto respaldo de una poderosa economía a esos papeles pintados. A comienzos de 2008, la suma de su deuda pública y externa superaba los 21 billones de dólares –casi dos veces el PBI de 13 billones–, además de la deuda privada de la población, de otros 14 billones: 35 billones equivalentes al 50 por ciento del PBI mundial, que en el 2007 rondaba los 60 billones.

La implosión de septiembre de 2008 transparenta esa descomunal farsa; porque los valores reales de los diversos papeles pintados son varias veces menores: como ejemplo, altos ejecutivos admiten que, en pocos meses, los activos del Citigroup se redujeron al 10 por ciento.

El carácter civilizatorio de la crisis se vincula con los impactos de la Revolución Científico-Técnica, en tanto las tecnologías de avanzada requieren un 75 por ciento menos de tiempo de trabajo humano para el grueso de las tareas en las diferentes áreas de actividad económica y social. La filial de Ford en Argentina es ilustrativa: su gerente declaraba con orgullo que, gracias a los robots, estaban produciendo con dos mil quinientas personas más de lo producido en los años setenta con doce mil trabajadores: lo que se denomina reconversión tecnológica salvaje. El tema es que los robots no se cansan, no paran para comer, no hacen huelgas, pero tampoco compran automóviles; ni hablar de las posibilidades de compra de los miles de trabajadores desplazados.

Expandida a todas las áreas industriales, los servicios, las comunicaciones, las finanzas, las cargas portuarias, el sector rural y otras áreas –dado su carácter invasor–, la reconversión salvaje se acelera en los últimos veinte años. Sin embargo, esa disminución del tiempo de trabajo no se resuelve necesariamente desplazando personas: la alternativa es bajar la jornada laboral y retener al conjunto de los trabajadores con salarios dignos. Esta última opción se impuso ante la crisis del treinta y en especial entre 1945 y 1973, cuando la jornada bajó masivamente desde las 72 horas semanales de principios del siglo XX a 40 horas: un descenso del 45 por ciento, que coincidió con los más altos niveles de crecimiento de la economía internacional. Si estamos ante una crisis de sobreproducción por carencia de demanda, la clave es una redistribución en gran escala de la riqueza y no el aporte de cuantiosos fondos a los principales bancos y corporaciones responsables del desastre, sumado a despidos en masa: vano intento de apagar el fuego con gasolina.

En este contexto deben evaluarse las decisiones del gobierno sobre el Tren Bala y Aerolíneas Argentinas. Un proyecto nacional y de integración latinoamericana autónoma, desde una visión crítica al coloniaje mental –a la idea de nuestra incapacidad congénita– obliga a concebir alternativas exactamente inversas a las del kirchnerismo y los partidos opositores de derecha. Se trata de superar el predominio del modelo agro-minero-exportador, que tiende a dejarnos fuera de la historia. Porque si Argentina y América latina no abordan el desarrollo de conocimientos y tecnologías de punta están condenadas a producir velas de sebo cuando ha llegado la electricidad.

Frente al Tren Bala, que endeuda al país por treinta años e impone una dependencia tecnológica con Francia, se ha planteado el Tren para Todos, con producción local de locomotoras, rieles, vagones y todo el instrumental necesario, lo cual crearía decenas de miles de puestos de trabajo legítimos, además del efecto multiplicador en la producción de insumos y en las economías del interior. En el caso de Aerolíneas, es irracional endeudarnos en más de 3000 millones de euros a favor de la Airbus europea y reforzar la subordinación tecnológica, con la compra de aviones bajo la extorsión espuria de Marsans. De ser así, la estatización de la fábrica aeronáutica de Córdoba la convertiría en un mero taller mecánico de mantenimiento.

En contraste, proponemos un sistema provisorio de leasing, durante el tiempo requerido para abordar la coproducción con Embraer de Brasil y Enaer de Chile, junto a otras naciones del continente, utilizando el capital disponible en la reconstrucción efectiva de nuestra industria estatal aeronáutica: un proyecto orientado a desarrollar el potencial científico-técnico de América latina, como condición ineludible de su soberanía. Dentro del marco de Unasur esto permitiría incorporar a Aerolíneas en la creación de Líneas Aéreas Latinoamericanas –provista por aviones latinoamericanos–, a fin de cubrir las rutas internacionales. Para aquellos afectados por el coloniaje mental que duden de esta posibilidad, cabe recordarles que la empresa pública Invap –dependiente de la Comisión Nacional de Energía Atómica y la provincia de Río Negro– le ha ganado licitaciones internacionales a la Siemens (a pesar de sus coimas), a la General Atomic y a otras corporaciones de similar envergadura: mientras Obama lanza la consigna buy american, el gobierno proclama compre francés.

La historia exhibe con cifras inapelables el papel de las inversiones y los capitales financieros externos en Nuestra América. Luego de una década de Alianza para el Progreso, en 1969 los cancilleres latinoamericanos demostraron al presidente Nixon que por cada dólar invertido en el continente, Estados Unidos se había llevado tres. En una reunión episcopal realizada en México, los obispos denunciaron que América latina había pagado entre 1981 y 1990 la suma de 418.000 millones de dólares, sólo en concepto de intereses, por una deuda inicial de 80.00 millones. El saqueo respaldado por el FMI y el Banco Mundial durante los noventa multiplicó varias veces esos montos, con las privatizaciones, el tratamiento de la deuda o la fuga de capitales: la deuda con el Club de París y acuerdos semejantes son parte de este proceso.

Si el comportamiento delictivo de estos capitales financieros llevó al derrumbe de Wall Street y de las economías de la Unión Europea y Japón, si el financista Madoff le robó los ahorros al propio Henry Kissinger, imaginemos sus actividades en este continente. Razones que obligan a revisar la legitimidad de la deuda y las privatizaciones en América latina, como lo están haciendo Venezuela, Ecuador y Bolivia, con la complejidad propia de estos desafíos, enfrentando al coloniaje mental sin dobles discursos.

Marcha por la memoria


DOS MARCHAS SE SUCEDIERON EN LA PLAZA DE MAYO PARA CONMEMORAR LOS 33 AñOS DEL GOLPE
Una plaza que demandó justicia
El repudio al golpe militar y el reclamo por la aceleración de los juicios a los represores fue el pedido unánime. Decenas de miles de personas acompañaron la convocatoria de los organismos de derechos humanos y la del Encuentro Memoria, Verdad y Justicia.

“Despertemos a la justicia con ruido, con silbidos, con cantos”, propuso la chica desde el escenario y abajo, en la Plaza de Mayo, la gente respondió con lo que tenía más a mano. Dos flaquitos que sostenían una pancarta la apoyaron en el suelo para aplaudir; el morocho del bombo hizo sonar el parche como en la cancha, y casi enseguida otros le siguieron el ritmo con las manos. Petardos, redoblantes, batucadas, cantitos. En el 33 aniversario del golpe del ’76, miles de personas reclamaron masivamente que se aceleren los juicios a los represores. Hubo dos marchas, una convocada por los organismos de derechos humanos y otra que reunió a las organizaciones de izquierda. Así, se hicieron dos actos con discursos muy diferenciados, durante una jornada en la que se pudo ver gente marchando a la plaza toda la tarde. Los primeros manifestantes llegaron al escenario montado junto a la Pirámide de Mayo a las tres y media, y cuatro horas más tarde todavía los últimos grupos seguían tratando de que se hiciera espacio para acercarse al lugar.

Clase media, trabajadores que fueron con sus sindicatos, piqueteros llegados en trenes desde el conurbano, militantes universitarios, gente sin adscripción a ningún grupo y militantes que se encolumnaron con su partido. Como todos los años, se volvió a ver esa mezcla: sobre la avenida de Mayo las columnas de las organizaciones sociales y políticas se formaron siguiendo el esquema acordado trabajosamente de antemano para la organización de la jornada, mientras por las veredas, saliéndose de ese orden, los manifestantes sueltos desbordaban el lento avance de las columnas. Como todos los años, también, se volvió a ver que la movilización es elegida por muchos padres para llevar a sus chicos a conocer una marcha del 24. Otro de los datos salientes es la cantidad de jóvenes que siempre logra reunir el repudio a la dictadura.

Los organismos

La primera de las marchas fue convocada por los organismos de derechos humanos. Organizada por H.I.J.O.S, Madres Línea Fundadora, Abuelas, Herman@s, el Centro de Estudios Legales y Sociales (Cels), la Asociación por los Derechos Humanos (APDH), el Serpaj y el Medh, entre otros, la actividad estuvo precedida, el lunes, por un recital frente a los Tribunales para reclamar a la Justicia por la demora en los juicios por violaciones a los derechos humanos.

Los organismos cuestionaron que a seis años de haberse anulado las leyes de Punto Final y Obediencia Debida “sólo haya 44 condenas”. Recordaron que “526 genocidas esperan el juicio oral”, pero por la lentitud de los procesos “192 represores ya murieron”, mientras otros 47 continúan prófugos. “Numerosos juicios se han reabierto desde que las leyes de Obediencia Debida y Punto Final fueran declaradas inconstitucionales en el 2001, que el Congreso Nacional las anulara por ley en el 2003 y que la Corte Suprema ratificara este camino en el 2005”, reconocieron desde el escenario, donde un grupo de Madres de Plaza de Mayo leyó un documento consensuado. “Pero ¿cuántos decenios serán necesarios para condenar a todos los genocidas por todos los compañeros? Ya llevamos demasiados años exigiendo justicia. Todos los poderes del Estado tienen la responsabilidad de acelerar los procesos que se llevan contra los autores de crímenes de lesa humanidad y terminar con las consecuencias de los indultos”.

En esta edición, la entrada a la plaza de la marcha fue encabezada por una escuadra de bailarinas de La Chilinga, la escuela social de percusión y danza fundada por Daniel Buira, el baterista de Vicentico. Vestidas de blanco de la cabeza a los pies, unas cincuenta chicas bailaron al ritmo de la batucada. Atrás fue la tradicional bandera con las fotos de los desaparecidos y las columnas de los organismos. Siguieron las organizaciones sindicales –la CTA con sus gremios, la Secretaría de Derechos Humanos de la CGT, la UOM Quilmes– y los movimientos sociales y políticos. Las organizaciones K tiñeron de celeste este tramo de la marcha: la Juventud Peronista, el Movimiento Libres del Sur, el Movimiento Evita, La Cámpora, el Frente Transversal, Nacional y Popular fueron algunas de ellas, casi todas con imágenes de Eva Perón en sus pancartas. También hubo agrupaciones que no integran el kirchnerismo, como el Encuentro por la Democracia y la Equidad –del intendente de Morón, Martín Sabbatella–, Proyecto Sur –de Pino Solanas–, el Partido Comunista y la UCR.

Los sueltos
Guillermo, su mujer y sus dos hijos fueron de los “sueltos” de la marcha. “Vivimos en La Plata y este año decidimos venir a marchar acá”, contó él. ¿Por qué? “Pensamos que la plaza venía de ser ocupada por otra manifestación, que no tuvo nada que ver con lo que queremos sino con la idea de instalar la pena de muerte. Me parece que se vienen tiempos difíciles”, definió. Simón, de 14 años, llevaba puesta una remera con el reclamo de aparición con vida de Julio López; dijo que para él, ir a la marcha era “una forma de aprender”.

También Claudia, responsable de la murga infantil Los Zumbados, dio ese sentido a la movilización. “Teníamos ganas de venir hacía mucho”, relató. Viajó desde Moreno con 30 de los chicos. “Todos tienen ya una idea porque el tema del golpe se trata en los colegios, pero es importante que puedan venir y ver esto”, aseguró.

El Encuentro

A los reclamos de la primera marcha siguieron los de la segunda, convocada por el Encuentro Memoria, Verdad y Justicia, que reúne a trescientas organizaciones sociales y políticas. Los partidos de izquierda, sus movimientos sociales, los estudiantes de la Federación Universitaria de Buenos Aires aportaron las columnas más numerosas de esta movilización.

El Encuentro llevó en su cabecera la consigna “Basta de impunidad y represión” y difundió un documento con duras críticas al gobierno. “Desarmar la impunidad requiere de mucho más que discursos, requiere de una decisión política que el gobierno no tiene”, señalaron allí. La Asociación de ex detenidos desaparecidos, la Liga Argentina por los derechos del hombre, el Centro de Profesionales por los derechos humanos fueron algunos de los que se ubicaron en la cabecera compartida con hubo dirigentes del Partido Obrero, el Movimiento Socialista de los Trabajadores, el PTS, la Corriente Clasista y Combativa y la Federación Universitaria de Buenos Aires (Fuba), entre otros.

“A pesar de lo que dice el gobierno, el 95 por ciento de los genocidas están libres”, plantearon en el texto que leyeron sobre el mismo escenario de la Plaza de Mayo. De los condenados o procesados, “la mayoría siguen en escandalosas condiciones de detención en countries o dependencias militares”. Las organizaciones también criticaron “el tarifazo, los despidos”, “las cifras ridículas publicadas por el Indec” y “el pago de la deuda externa” como señales de que el gobierno pretende “salir de la crisis sin tocar a los verdaderos responsables”.

El reclamo por la desaparición de Julio López, el rechazo a los pedidos de mano dura, el rehusarse a tener una mirada policíaca de los problemas sociales fueron puntos muy presentes en la jornada.
Además de los cientos de carteles con la foto de López que llevaron los manifestantes a las marchas, hubo pancartas que contestaron los recientes reclamos por la pena de muerte. “Mientras piensan cómo matarnos, nosotros ya vivimos condenados a muerte”, decía una bandera escrita a mano con toda la impronta del conurbano. En otra también manuscrita se leía: “cuando se habla de pena de muerte, la humanidad retrocede en cuatro patas”.

24 marzo 2009

1976 - 24 de Marzo - 2009


A 33 años del inicio del genocidio en Argentina.

ABUELAS DE PLAZA DE MAYO: Quedan 400 nietos apropiados

Las Abuelas de Plaza de Mayo, a 33 años de la instauración del golpe de Estado más sangriento de nuestra historia y a 26 del retorno a la democracia, lamentablemente debemos seguir con nuestra búsqueda. Todavía nos falta restituir la identidad a 400 de nuestros nietos, todos ellos apropiados por el terrorismo de Estado.

Nuestros nietos son adultos y probablemente muchos ya sean padres, por lo que la violación del derecho a la identidad se está transfiriendo a la siguiente generación, es decir a nuestros bisnietos, a quienes también tenemos que restituirles la identidad.

Desde nuestra fundación venimos sembrando memoria y reclamando, junto al resto de los organismos, verdad y justicia. Tratamos de plasmar esto día tras día –visitando escuelas, organizando actividades de formación, denunciando ante la Justicia– para que nunca más la sociedad argentina vea violados sus derechos más fundamentales. Educamos para la defensa de los derechos humanos y somos las mayores promotoras del derecho a la identidad.

En lo que se refiere a nuestro trabajo en el mundo, como hace 20 años, cuando logramos que se incorporaran dos artículos a pedido nuestro en la Convención de los Derechos del Niño, ahora mismo estamos bregando para que toda la experiencia sobre identificación genética y forense que hemos acumulado en estas tres décadas sea tomada y protocolizada por las Naciones Unidas para casos de desaparecidos en otros países.
Consideramos que es necesario y urgente continuar luchando para que los juicios contra los represores de la dictadura se aceleren de una vez y que sean públicos. Debemos tener en cuenta que si fuera por el Código Penal y por los jueces “procesistas”, los juicios seguirían parados. Hay que seguir presionando para que “los tiempos de la Justicia” no terminen de cerrar, nuevamente, ese círculo de impunidad que tanto nos costó derribar.

Nuestra lucha ha sido siempre por más democracia, por más garantías, por más derechos humanos. Y así debe seguir siendo. Los organismos de derechos humanos, ayer, hoy y siempre, hemos exigido justicia y no ajusticiamiento. Tan es así que los genocidas tienen el derecho a un juicio justo y a una legítima defensa, derecho que negaron brutalmente a nuestros hijos e hijas. Que quede claro: no queremos, nunca más, un Estado que asesine.

A 33 años del horror, tenemos que caminar juntos cantando nuestro amor por la vida, por una sociedad para todos y no para pocos, por la memoria de nuestros desaparecidos, por los hombres y mujeres que aún no conocen su verdad y su historia –”esclavos del alma” los llamamos nosotras–, que esperan por su libertad.

21 marzo 2009

Un altro "pelotudo" pericoloso


Alfano: crociata anti YouTube
«Appena i tecnici del governo Berlusconi troveranno il modo di intervenire nella difficile realtà del web, arriverà una nuova legge per contrastare gli abusi sempre più frequenti su Internet. Come in Youtube ad esempio. Vogliamo intervenire». Così il ministro della Giustizia Antonino Alfano, stasera a Genova durante un incontro pubblico del Pdl, ha risposto a un bambino della classe 5 B della scuola elementare Brignole Sale di Albaro.

Il bambino lo interrogava sulla possibilità di interventi specifici contro gli eccessi presenti nel web, in particolare sul più famoso sito di condivisione video, Youtube. «Il nome stesso di rete - ha detto il ministro Alfano - rimanda a una maglia difficile da controllare, ma stiamo lavorando sul tema».

19 marzo 2009

Un "pelotudo" pericoloso fuori di testa


Gli studenti dell'Onda sono dei "guerriglieri e verranno trattati come guerriglieri".

Lo ha detto il ministro della Pubblica Amministrazione e l'Innovazione Renato Brunetta, al termine di una conferenza stampa a Palazzo Chigi tenuta insieme alla collega della scuola, Mariastella Gelmini.
A chi faceva notare al ministro che nella scuola la protesta sta montando, il ministro ha risposto: "non vedo molta protesta, vedo ogni tanto delle azioni di guerriglia da parte della associazione Onda. Ma vedo - ha aggiunto - che nelle votazioni degli organi di rappresentanza degli studenti l'Onda non esiste. Sono un democratico e quindi credo molto più al voto che alle azioni azioni di guerriglia. L'Onda non l'ho vista nelle recenti elezioni degli studenti - ha insistito Brunetta - quindi sono dei guerriglieri e verranno trattati come guerriglieri".
Forse copiando il sistema argentino della scomparsa forzata, forse col sistema "Guantànamo", forse con le fucilazioni di massa imparate da Cadorna o Badoglio. O forse a questi eretici li convertirà con le torture ed con i sistemi dell'Inquisizione. Io mi domando: da dove è nato questo mostro in miniatura?

Risposte alle parole del Ratzinger


Aids, il Papa: «I preservativi non combattono l'epidemia, ma aumentano i problemi»
«Grandissima preoccupazione» è stata espressa oggi dal ministero degli Esteri francese per «le conseguenze» sulla lotta contro l'Aids delle parole del Papa Benedetto XVI sull'uso del preservativo. Ieri il pontefice, in visita pastorale in Africa, aveva detto che «l'epidemia di Aids nel continente non si può superare con la distribuzione dei preservativi che, anzi aumentano i problemi».

Il Papa aveva indicato come unica strada efficace quella di un rinnovo spirituale e umano nella sessualità.

«Se non spetta a noi dare un giudizio sulla dottrina della Chiesa - ha aggiunto il portavoce del ministero degli Esteri, Eric Chevallier - riteniamo che frasi del genere mettano in pericolo le politiche di sanità pubblica e gli imperativi di protezione della vita umana».

Il Papa aveva ricordato che la Chiesa cattolica fa tanto in Africa contro l'Aids. «È una tragedia che non si può superare solo con i soldi, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi». Serve invece, secondo il Papa, un comportamento umano morale e corretto ed una grande attenzione verso i malati: «soffrire con i sofferenti».

Critiche sono anche venute dalla Germania. I preservativi hanno un «ruolo decisivo» nella lotta all'Aids: qualsiasi altro mezzo sarebbe «irresponsabile» hanno detto i ministeri tedeschi della Sanità e dello Sviluppo in un comunicato congiunto commentando così le parole del Papa su questo tema.

Critiche dalle Ong britanniche alle dichiarazioni di papa Benedetto XVI sul preservativo e l'Aids. Secondo l'associazione di beneficenza cristiana Christian Aid infatti, le parole del papa rischiano di seminare «confusione in Africa, nei Paesi dove la Chiesa cattolica ha un'influenza importante».

«Le parole del papa mandano un messaggio che crea confusione in un continente come l'Africa, dove la chiesa cattolica è molto importante. La nostra posizione - ha spiegato la Melby alla AFP - è che l'astinenza è una parte importante nell'insieme delle misure, ma che non è l'unico modo per combattere la diffusione del virus dell'Hiv».

Dello stesso parere Mohga Kamal-Yanni, esperta di Hiv e Aids dell'organizzazione di beneficenza Oxfam. «La disponibilità dei preservativi per combattere l'Hiv è assolutamente cruciale», ha detto la Kamal-Yanni all'agenzia francese, aggiungendo: «Se vogliamo evitare nuovi casi di infezione tra i giovani, dobbiamo aumentare la diffusione dei preservativi».

Intanto il Vaticano conferma la posizione della Chiesa sull'uso dei preservativi contro l'Aids. «La Chiesa - si legge in una nota della Santa Sede in risposta alle polemiche sollevate dalle parole del Papa - concentra il suo impegno non ritenendo che puntare essenzialmente sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore».

In serata arriva anche la presa di posizione della Ue. Il preservativo «è uno degli elementi essenziali nella lotta contro l'Aids e la Commissione Ue ne sostiene la diffusione e l'uso corretto» lo afferma il portavoce del commissario Ue agli aiuti umanitari Louis Michel.

17 marzo 2009

Condena los condones


EL PAPA INICIA SU GIRA POR AFRICA CON UNA CONDENA A LOS PRESERVATIVOS. CONTINÚA CON SU PREDICA IGNORANTE E INHUMANA.
"El SIDA no puede resolverse con la distribución de condones, que incluso agrava los problemas"
El papa Benedicto XVI estimó que el problema del SIDA "no puede resolverse" con la "distribución de preservativos", ante la prensa en el avión que le lleva a Yaundé (Camerún), donde iniciará su primera visita a Africa.

Fue la primera vez que Benedicto XVI habló expresamente sobre el uso de condones, aunque sí dijo que la Iglesia Católica está al frente de la lucha contra el SIDA y que el Vaticano alienta la abstinencia sexual para evitar la extensión de la enfermedad.

"Es una tragedia que no se puede superar con la distribución de condones, que, al contrario, agravan el problema", dijo el pontífice en declaraciones a la prensa a bordo del avión papal en vuelo hacia Yaundé, capital de Camerún.

Benedicto XVI indicó como único camino eficaz el de una renovación espiritual y humana en la sexualidad.
Algunos sacerdotes y monjas que trabajan con víctimas del SIDA en Africa, el continente más afectado por la pandemia, cuestionaron la oposición de la Iglesia al uso de preservativos.

La gira de Benedicto XVI por Africa durará siete días y lo llevará a Camerún y Angola.

16 marzo 2009

Ni olvido ni perdón


DEMANDAN A LOS BANCOS QUE FINANCIARON LA DICTADURA
Los prestamistas de la muerte

Hijos de detenidos-desaparecidos en La Plata demandarán a los bancos que financiaron la dictadura, cuya maquinaria de muerte se hubiera detenido sin esa ayuda. Los bancos contaban con precisa información sobre lo que ocurría, por lo que debieron imaginarse el dolo eventual que causarían.

Por Horacio Verbitsky
Leandro Manuel Ibáñez y María Elena Perdighe presentarán un reclamo judicial contra los bancos extranjeros que financiaron a la dictadura militar que secuestró e hizo desaparecer a sus padres, en 1976 y 1977 en la ciudad de La Plata. Un estudio porteño de abogados, con apoyo de expertos de la Universidad de Nueva York, invocará normas y antecedentes internacionales y norteamericanos, como la jurisprudencia del Tribunal de Nuremberg, que condenó a empresarios alemanes que vendieron el gas letal usado en el campo de concentración de Auschwitz, emplearon mano de obra esclava y donaron dinero a las SS, y la Convención contra el Genocidio, que contempla sanciones no sólo a los perpetradores sino también a sus cómplices. “Quiero saber quién le daba plata a la Junta Militar que gobernaba un país quebrado pero podía pagarle el sueldo a los asesinos de mi padres y comprar las máquinas para torturarlos”, explica María Elena Perdighe, de asombroso parecido con su madre, según afirman quienes la conocieron.

Complicidad corporativa
Según el tribunal de Nuremberg el responsable de un plan criminal necesita para ejecutarlo “la cooperación de políticos, militares, diplomáticos y empresarios. No puede considerárselos inocentes si sabían lo que estaban haciendo”. Los bancos que otorgaron créditos a la dictadura argentina deberían reparar los daños personales sufridos dada su “responsabilidad por complicidad corporativa”. Una fuente valiosa de información sobre el tema fue una investigación académica en curso de la directora del Programa de Derechos Humanos y Justicia Global de la Facultad de Derecho de la Universidad de Nueva York, Veerle Opgenhaffen, y del jurista argentino Juan Pablo Bohoslavsky, Hauser Fellow de la misma universidad, donde será presentada el 14 de abril. El estudio consigna que en 1976 la deuda pública externa de la Argentina era de 6.648 millones de dólares y en 1983 llegó a 31.709 millones. Las dos terceras partes (20.658,7 millones) correspondían a créditos bancarios, sin contar otros 5.441 millones en bonos, que presumiblemente también estaban en poder de los bancos. A mediados de la década de 1970 los bancos internacionales habían acumulado una enorme masa de petrodólares y presionaron a países de dudosa capacidad económica para que tomaran créditos, que en muchos casos usaron para reprimir a sus pueblos, como en el caso argentino. (continúa) Hacer click aquí para leer el artículo completo

15 marzo 2009

La forza dei vigliacchi


"Diamo una lezione ai froci"
di Delia Vaccarello
Vigliacchi e violenti. In tre a Pordenone, un uomo sui 40 e due sopra i venti, hanno aggredito un gay disabile, aspettandolo per "dare una lezione ai froci". E' allucinante, pazzesco. Dopo Povia verrebbe da chiedersi: lo hanno menato per sentirsi dire "no, no, io ero gay"? Questo post vi dà la notizia della aggressione. Segue poi l'articolo sul manuale di sopravvivenza al bullismo che mai come oggi diventa utilissimo.
Il bullismo omofobico come dice una commentatrice è cultura.

Un calcio alla schiena lo butta per terra. Un colpo alla testa lo stordisce. La gente, i rumori tutto si confonde. E' stato appena pestato da un uomo di 43 anni e da due ventenni. Sente il dolore in tutto il corpo, rivive il trauma. Nella centralissima piazza XX settembre di Pordenone nessuno ha mosso un dito. Gli aggressori sono "abili", si muovono bene. Lo hanno seguito per "dargli una lezione".
Lui è omosessuale ed è invalido al cento per cento. Una "preda" facilissima per i vigliacchi omofobi di turno che pensano di avere complice l'indifferenza della gente. Così sarebbe stato se un barista, dal suo locale all'angolo, non avesse visto tutto e non si fosse precipitato a chiamare la polizia. L'uomo aggredito resta in silenzio, sbalordito, solo. Attende i familiari che, come da accordi, devono passare di lì per portarlo a casa. All'arrivo degli agenti non vuole dire nulla, è terrorizzato. Se li denuncia, che cosa succederà ancora? Il terrore del perseguitato lo invade, quel panico che gli aggressori sanno bene di poter suscitare. Quante volte le vittime si isolano per paura di innescare una spirale di violenza? Lui ha 30 anni ed è stato aggredito per la seconda volta. Nel 2002 stava ancora bene, faceva il militare in ferma breve volontaria. Un giorno il giovane che frequentava si trasformò in una furia. Giù pugni, calci, schiaffi, fino a ridurlo in fin di vita. Lui rimase in coma a lungo. Il partner fu condannato per tentativo di omicidio. Lui oggi è invalido, nonostante le terapie e i tentativi di riabilitazione, tant'è che viene seguito dai servizi sociali del Comune. Calci e pugni, sembra un destino. Succede che scatti il raptus omofobico: un uomo incapace di accettare la propria omosessualità tenta di annientarne l'immagine che vede riflessa nel compagno dopo un rapporto sessuale. Ma questa volta non è stato un raptus. I tre un paio d'ore prima si erano dati il "la": picchiamolo, è frocio, è disabile". E lo hanno seguito, pestato, insultato, lasciandolo sotto choc.
Quando gli agenti arrivano i tre si sono già dileguati. Ci vorrà tempo per acciuffarli. Così la violenza inflitta il 23 gennaio viene resa nota solo ieri. Dopo parecchi interrogatori gli inquirenti hanno in pugno gli omofobi: T.N., 22 anni, già nei guai per razzismo e xenofobia, S.C., 21 anni, O.S. , 43 anni. Grillini dichiara: "La violenza contro i gay è un'emergenza e il governo contrasta ogni forma di tutela". Imma Battaglia indice un sit-in sabato mattina alle 11 dinanzi a Montecitorio. Arcigay chiede una legge: "Chiediamo al ministro Mara Carfagna quando intende svegliarsi, facendo sì che il governo e la sua maggioranza approvino le aggravanti contro i reati d'odio nei confronti dei gay, delle lesbiche e delle persone trans. L'inazione è complicità". Diranno che è un'eccezione? Non è così per chi sa di essere un potenziale bersaglio. Giovanni Pincus, disabile e gay, denuncia: "All'isolamento quotidiano che viviamo si aggiungono spesso ingiurie e offese, e nessuno ci difende. Molti preferiscono non vedere. Il fatto accaduto a Pordenone non è un caso isolato".

Come reagire al bullismo
Se lo conosci lo eviti. Se lo conosci, non crederai a chi ti dice che è normale, che ovunque si scherza così, che è una ragazzata, un gioco come tanti. Il bullismo omofobico è una piaga, poco contrastata. A subirne gli effetti sono gli adolescenti gay, lesbiche, bisessuali, ma anche coloro che non corrispondono all'immagine che un gruppo ritiene accettabile. Possono esserne vittima le ragazze mascoline, i giovani effeminati, chi ha un padre gay, chi una sorella lesbica. I dati sono inequivocabili: il 60 per cento dei giovani gay subisce aggressioni a scuola. Le conseguenze sono più dolorose perché i "ragazzi bersaglio" possono non essere in grado di chiedere aiuto: chi è vittima di bullismo perché nero, arabo, ebreo può trovare nella propria comunità un supporto. Ma i giovani gay e lesbiche che non hanno fatto coming out o non sono accettati in famiglia spesso soffrono da soli. Tentano allora di diventare invisibili per sfuggire alle aggressioni, aumentando così il loro isolamento. Intanto la ferita arriva all'anima e colpisce l'autostima. "Se i miei amici o gli insegnanti parlano di omosessualità e bisessualità in senso dispregiativo e svalutante, vuol dire allora che io sono sbagliato, sporco, malato". Che fare? C'è una pubblicazione di grande aiuto. Titolo: "Bullismo nelle scuole, manuale di sopravvivenza" Si rivolge ai ragazzi, ma c'è anche una versione per insegnanti e per operatori scolastici. E' frutto del lavoro svolto dal 2006 al 2008 da Arcigay insieme a tre partner europei, fa parte del progetto Schoolmathes (visitando www.arcigay.it/schoolmates, i manualetti si possono scaricare), ed è stato co-finanziato dalla Commissione Europea all'interno del programma Daphne II. Il bullismo che è fatto di violenza fisica, verbale o psicologica è differente da un consueto conflitto tra coetanei. Nel conflitto si manifestano le proprie ragioni, si tenta una mediazione, ci si allontana o si trova una situazione di pareggio. Gli episodi di bullismo vedono invece una sproporzione di forze tra il bullo o i bulli e la persona bersaglio; l'intenzione di fare del male è palese e gli episodi di molestie sono frequenti. Infine i bulli, quando si sentono sicuri, se aggrediscono non motivano mai il loro agire sulla base di "ciò che l'altro fa" , ma colpiscono "ciò che l'altro è". "L'ho picchiato perché è gay". La persona bersaglio prova allora un malessere profondo, che può sfociare anche in autolesionismo, ansie, tentativi di suicidio. Che fare? C'è una parolina "d'oro" che occorre tenere bene a mente: assertività. "la capacità di affermare se stessi in modo deciso, prendendo posizione senza paura non rimanendo passivi dinanzi a quanto accade. Chi è vittima di bullismo omofobico, al pari delle altre vittime, deve imparare a mettersi al riparo: restare solo il meno possibile e cercare di evitare il bullo, soprattutto senza stabilire alcun contatto visivo. Occorre convincersi che non c'è niente di cui vergognarsi e che quanto accade non è certo colpa della vittima. Oltre a sfuggire, la vittima deve lanciare un sos. Per gli adolescenti gay e lesbiche non è facile: è necessario raccontare a una persona di fiducia, adulto o coetaneo, la violenza subita dicendo del proprio orientamento sessuale. Se è difficile parlare, possono scrivere una mail o una lettera. Se non ce la fanno ad aprirsi con persone conosciute - perché significherebbe dire "sono gay" - c'è ancora una carta da giocare. Nel mondo fuori ci sono associazioni sensibili alle questioni omosessuali o Trans. Cercate su Internet: le sigle sono Agedo, Arcigay giovani. Ci sono anche gli osservatori Lgbt sul territorio. Uscite dal silenzio: non siete soli.

14 marzo 2009

Ma chi se ne frega !


Non è che m'importi molto. Tutto ciò che la Chiesa fa mi scivola e non lascia impronte in me, tranne quando si intromette nella mia vita, tenta di impormi il suo pensiero e la sua mitologia, e quando cerca per tutti i modi di convincere il potere politico a varare leggi che vadano contro la mia libertà. Tale e quale come se venisse un cinese a fare le stesse richieste. Questo è un testo in cui si chiede alla Chiesa di scomunicare tutti quelli che la pensano diversamente e che si dichiarano atei. A me non fa né freddo né caldo che la Chiesa mi scomunichi o meno dato che non mi rappresenta e non fa parte della mia vita. Che faccia quello che vuole con le sue scomuniche e con i suoi fedeli, non mi tocca, non sono suddito del Vaticano, non credo in nessuna divinità e men che meno sono obbligato all'ubbidienza dei dittati del Papa.


Manifesto per la scomunica
da Paolo Izzo
Scomunicateci.
Siamo atei.
Siamo a favore della contraccezione, dell'amniocentesi e della epidurale, della fecondazione assistita omologa ed eterologa, dell'interruzione volontaria di gravidanza, della "pillola del giorno dopo" e della RU-486, della ricerca sulle cellule staminali embrionali, dell'eutanasia e del testamento biologico.
Formiamo coppie di fatto, senza firmare contratti o matrimoni. I nostri figli non li battezziamo e li esoneriamo dall’insegnamento della religione cattolica.
Preferiamo pensare, invece di credere. E pensiamo a una nascita umana sana, uguale per tutti, senza perversioni e senza peccato originale. Perciò il Bene per noi è sinonimo di etica umana e di sanità mentale.
Riteniamo che la Chiesa non si sia mai evoluta, se non perché costretta dagli Stati laici, come il nostro non sembra essere piú. Ugualmente, sosteniamo che il clero è una lobby di potere politico ed economico; e che il Vaticano è uno Stato straniero, con le sue regole, il suo piccolo territorio e le sue grandi brame di espansione.
E nemmeno chiediamo che si torni… alle origini, come si dice: a Gesù, a san Francesco o alla madonna; perché per noi essi sono astrazioni, figure mitologiche, né più né meno di Giove, Bacco e Artemide.
Perciò vogliamo starne fuori: se la Chiesa o il nostro Stato parleranno a nome della cristianità, non parleranno piú a nome nostro.
Vogliamo essere liberi di sognare, di pensare alle donne e agli uomini come noi, di occuparci dei nostri bisogni e delle nostre esigenze di esseri umani, fatti di psiche e di biologia e nati non prima di aver visto la luce con i nostri occhi. E morti quando non potremo più pensare di essere vivi.
Tutto questo può bastare per essere scomunicati? Riteniamo di sì.

10 marzo 2009

El mundo desinflado


De la guerra infinita a la crisis infinita
Atilio A. Boron
(Ponencia presentada al XI Encuentro Internacional de Economistas sobre Globalización y Problemas del Desarrollo, La Habana, Cuba, 2-6 Marzo, 2009)

En las páginas que siguen quisiéramos exponer algunas ideas en torno a la actual crisis capitalista, sus probables “salidas” y el papel que en ella podría desempeñar una opción socialista. Dadas las restricciones de tiempo evitaremos innecesarios tecnicismos y trataremos de plantear las cosas de forma simple, pero sin caer en simplismos.

1. Comencemos caracterizando a esta crisis por la negativa, diciendo lo que esta crisis no es. Esto es importante porque el bombardeo mediático al que están sometidas nuestras sociedades presenta a los economistas y otros publicistas del establishment hablando de una “crisis financiera” o “crisis bancaria”. Poco antes, ni siquiera eso: se decía que estábamos en presencia de una crisis de las hipotecas “sub-prime”. Se pretende, de este modo, minimizar a la crisis, subestimarla, presentarla ante los ojos de la población como un incidente relativamente menor en la marcha de los mercados y que para nada pone en cuestión la salud y viabilidad del capitalismo como supuesta “forma natural” de organización de la vida económica. El paso del tiempo se encargó de demoler todas estas falacias.

2. ¿Qué clase de crisis, entonces? Si bien estamos apenas transitando su primera fase y aún cuando aquélla “no ha tocado fondo” no sería temerario pronosticar que nos hallamos ante una crisis general del sistema capitalista en su conjunto, la primera de una magnitud comparable a la que estallara en1929 y a la llamada “Larga Depresión” de 1873-1896. Una crisis integral, civilizacional, multidimensional, cuya duración, profundidad y alcances geográficos el tiempo se encargará de demostrar que será de mayor envergadura que las que le precedieron.

3. La crisis se torna visible, inocultable, por el estallido de la burbuja creada en torno a las hipotecas “sub-prime” y luego se transmite, rápidamente, a los bancos e instituciones financieras de Wall Street, y finalmente se extiende a todos los sectores y a la economía mundial. Pero la burbuja, y su estallido, es el síntoma; es como la fiebre que denuncia la presencia de una peligrosa infección. No es tanto la enfermedad (aunque podría argumentarse que la tendencia permanente en el capitalismo a formar burbujas especulativas también es un signo de insalubridad) como su manifestación externa, la que por momentos adquiere contornos ridículos o aberrantes. Ejemplo: la compra que efectúa en Marzo del 2008 el gigantesco banco JP Morgan del Banco de Inversiones Bear Stearns, el quinto en importancia en Wall Street, operación que se cierra por la irrisoria suma de $ 236 millones. Una semana más tarde el precio de esa firma se multiplicó por cinco. Pocos meses después, en Septiembre, y ante la pasividad de las autoridades económicas, se produce la bancarrota de Lehman Brothers, uno de los principales bancos de inversión de Estados Unidos. Merrill Lynch, su competidor en ese rubro, es vendido de urgencia al Bank of America en 50.000 millones de dólares.

4. Se trata, por lo tanto, de una crisis que trasciende con creces lo financiero o bancario y afecta a la economía real en todos sus departamentos. Y además es una crisis que se propaga por la economía global y que desborda las fronteras estadounidenses. Todos los esfuerzos para ocultarla a los ojos del público resultaron en vano: era demasiado grande para eso.

5. Sus causas estructurales son bien conocidas: es una crisis de superproducción y a la vez de subconsumo, el mecanismo periódico de “purificación” de capitales típico del capitalismo. No por casualidad estalló en EEUU, porque este país hace más de treinta años que vive artificialmente del ahorro y del crédito externo, y estas dos cosas no son infinitas ni inagotables: las empresas se endeudaron por encima de sus posibilidades y se lanzaron a realizar riesgosas operaciones especulativas; el Estado se endeudó irresponsable y demagógicamente para hacer frente no a una sino a dos guerras, no sólo sin aumentar los impuestos sino que reduciéndolos y, además, los particulares han sido sistemáticamente impulsados, vía la publicidad comercial, a endeudarse para sostener nivel de consumo desorbitado, irracional y despilfarrador. Era sólo cuestión de tiempo para que esta espiral de endeudamiento indefinido se detuviera catastróficamente. Y ese momento ya llegó.
(continúa) Hacer click aquí para leer la ponencia completa.

9 marzo 2009

Parole - parole - parole...


IL DIFFICILE COMPITO DI FAR DIVENTARE TUTTO FACILE.

Dal dopoguerra in poi il discorso, gli analisi ed i dibattiti della sinistra non hanno fatto altro che paralizzare l’azione. Gli intellettuali di sinistra di Occidente sono diventati ingordi con le parole. “Parolai”, gli hanno definiti più di una volta gli anarchici, che non sono rimasti indietro in questo mestiere difficile del parlare e dello spiegare il “perché” di tanta ingiustizia nel mondo. Filosofi, sociologi, politologi, comunicatori di vario genere, giornalisti, avvocati e professori di ogni pelo e marca si sono dedicati a spulciare la realtà, a trovare sfumature, ad analizzare la “complessità” di vivere in una società industrializzata. Si sono dimenticati però che l’auditorio era strapieno di persone che non capivano di che cosa si parlase. Gli intellettuali allora si sono prosciugati le meningi per tentare di rendere il linguagio più chiaro e comprensibile, ma non mancavano i concorrenti con diversi punti di vista che spiegavano la stessa realtà vista da un altro angolo. Si sono scagliati tra di loro dividendo il campo popolare in tribù irriconciliabili. Il resto, la massa indecisa, rimane in silenzio aspettando qualcosa che rivelasse loro la Verità promessa, il da farsi per raggiungere un mondo migliore.

Certo è che i movimenti degli intellettuali hanno fatto progredire il pensiero umano con passi da giganti, ma l’effetto che hanno provocato all’interno della società è stato quello della paralisi. Forse perché il pensiero sempre ha bisogno di tempo per essere digerito, forse perché le forze in campo comunicazionale erano impari, ma resta comunque che gli intellettuali di sinistra, “complicando” tutto ciò che componeva la vita quotidiana hanno creato più di una volta effetti anti-rivoluzionari. Il sostegno alla “complessità” della vita e delle relazioni umane hanno portato a troppi controlli, troppe regole, troppi divieti; accettando molte volte “per correttezza” le opinioni altrui senza dibatterle. Malgrado i testi del Che Guevara e di Ho Chi Min che segnalavano con estrema chiarezza la “semplicità” dell’agire rivoluzionario, gli intellettuali occidentali son rimasti abbagliati davanti ad uno specchio quasi a godersi la propria immagine ed immaginando come sarebbe stato il proprio monumento da tramandare alla Storia. Mlgrado i pensieri di Gramsci e di Mariategui siano stati chiarissimi e “semplici” da capire, gli intellettuali di sinistra occidentali si sono affrettati in analizzarli una e mille volte per trovare la chiave giusta di un discorso che incastrasse col proprio pensiero, “complicando” ulteriormente le cose. Il divario tra il pensiero “complessivo” e le attese delle masse fu enorme; questo divario molte volte fu colmato con delle parole, con canoni di condotta, con dei rituali vuoti, con mode, deviando così (e rallentando) l’azione principale: fare la rivoluzione.

Forse gli intellettuali volevano opporsi al “semplicismo” che ha sempre mostrato la destra, forse considevano che la loro prefessione non permetteva loro di accettare così “semplicemente” la realtà. Questa situazione di lotta tra due contendenti non poteva riasumersi in un conflitto tra “loro” e “noi”. Non potevano accettare,--e credo che ancora non ci riescano--, che “essere vittima” non ha bisogno di un’altra spiegazione, che non ha bisogno di spiegare tutte le sfumature del concetto “vittima” per capire come si soffre essendolo. Non riescono,--forse avranno bisogno di un corso di cultura zen--, a concepire la “semplicità”. E, ma questa è una mia povera opinione, forse non ci riescono perché nel fondo non sono capaci. Non nel senso di “capaci” perché mancano loro i dati od utensili per arrivare, no; per me, non son “capaci” nel senso lato della parola, ossia sono, e sono stati, degli incapaci.

Era così difficile arrivare alla conoscenza del fatto che “loro” si uniscono solo perché hanno un solo interesse in comune: i soldi? Perché “complicare” tanto le cose se a “noi” interessa giusto la stessa cosa? L’unico che cambia è che la quantità di soldi dovrà essere distribuita in un modo diverso ed tra una maggior quantità di persone. Perché “complicare” i discorsi, creare divieti e regole a tavolino se ancora non si è fatto niente, neanche il primo passo, per prenderci il potere?. La cosa è “semplice”: il potere ce l’hanno “loro” ma lo vogliamo “noi”. E “noi” abbiamo ragioni da regalare per giustificare il diritto ad avere e amministrare il potere. “Loro” non hanno la minima ragione e non potranno mai argomentare niente per giustificare la loro brama di potere. Se qualche timorato domanda, le risposte sono sempre facili, basta far riferimento al diritto naturale, al poco tempo che viviamo ed al nostro diritto alla felicità. Allora, se tutto è così “semplice”, cosa impedisce dare i primi passi per organizzarci ed iniziare ad avanzare?

7 marzo 2009

Legge di Dio? Quale Dio?


Il religioso: «La legge di Dio è superiore a qualunque legge umana»
Il Vaticano continua a tentare d'imporre "leggi" disumane ispirate sulla fede in una divinità immaginaria. "Leggi" aberranti che si propongono come linea morale per tutte le società del mondo.
È da domandarsi: Quale Dio?, quale legge? Come osa il Vaticano ad arrogarsi questo diritto di "leggiferare" per tutta l'umanità in base ad un supposto decreto divino?
Ê da rispondere subito che la Chiesa dovrà sottomettersi alle leggi civili ed umane.
Brasile, bambina di nove anni, stuprata dal patrigno, abortisce.
Vescovo scomunica i medici:
«Crimine»
La piccola di 9 anni violentata dal patrigno.
Il Vaticano: «Bene il vescovo Sobrinho, i medici hanno fatto una scelta di morte: hanno peccato»
Scomunica: sentenza inappellabile della Chiesa cattolica brasiliana contro i medici che hanno fatto abortire una bambina di nove anni, stuprata dal patrigno e incinta di due gemelli. L’aborto, ha specificato José Cardoso Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife, è un crimine agli occhi della Chiesa e la legge degli uomini non può sovrastare quella di Dio. Il patrigno, indagato per violenza sessuale, ha ammesso che abusava della bambina da quando aveva 6 anni e inoltre secondo i sanitari la gravidanza avrebbe comportati gravi rischi per la bambina. La legge brasiliana consente l'aborto in caso di stupro o di problemi per la salute della madre. La bambina, fanno notare i medici, rientrava in ambedue le categorie.

«LEGGE UMANA NON HA VALORE»
Ma l’arcivescovo, esponente dell’ala più integralista della Chiesa brasiliana, è andato all'attacco. «La legge di Dio è superiore a qualunque legge umana - ha proclamato -. Quindi se la legge umana, cioè una legge promulgata dagli uomini, è contraria alla legge di Dio, questa legge umana non ha alcun valore». Tutte le persone che hanno partecipato all'aborto, compresa la madre della bambina (ma non la piccola), sono state scomunicate. Una decisione condannata dal ministro della Salute José Gomes Temporao, che ha parlato di posizione «estremista e inopportuna»: «La questione è legale, la bambina è stata violentata. Il resto è opinione della Chiesa. Sono scioccato per la posizione radicale di questa religione che, nell'affermare a torto di voler difendere una vita, mette un'altra vita in pericolo» ha detto a un programma radiofonico. Il presidente Lula ha definito «conservatore» il comportamento del vescovo, elogiando quello dei medici: «La medicina è su questo punto più corretta della Chiesa, e ha fatto ciò che doveva fare: salvare la bambina».

VATICANO: «GIUSTO»
Il vescovo Sobrinho trova invece appoggio nel Vaticano. «È un tema molto, molto delicato ma la Chiesa non può mai tradire il suo annuncio, che è quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un dramma umano così forte, come quello della violenza di una bimba - ha detto padre Gianfranco Grieco, capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia -. L’annuncio della Chiesa è la difesa della vita e della famiglia, ognuno di noi deve porsi in un atteggiamento di grande rispetto della vita. L’aborto non è una soluzione, è una scorciatoia. La scomunica significa non potersi accostare anche al sacramento della comunione e se una persona è nel peccato e non si confessa, per la Chiesa non può fare la comunione. In questo caso i medici sono fortemente nel peccato perché sono persone attive nel portare avanti l’aborto, questa uccisione. Sono protagonisti di una scelta di morte».

UN ALTRO EPISODIO - Un’altra vicenda molto simile sta sollevando polemiche in Brasile. A Irai, 480 chilometri da Porto Alegre, una bambina di 11 anni è al settimo mese di gravidanza, anche lei stuprata da un parente stretto con cui è cresciuta dopo l’abbandono della madre. Anche in questo caso la gravidanza è a rischio data l’età immatura. Sia la polizia che le autorità locali affermano che nessuno ha mai chiesto che fosse praticato un aborto: «Inerzia e disinformazione» deplora il quotidiano O Globo. La storia era nota e le autorità avrebbero dovuto agire d’ufficio, come prevede la legge.

5 marzo 2009

Uno specchio liscio e pulito


Appunti per una definizione
di Andrea Camilleri (24/02/09)

Il grande scrittore si interroga sull'identità degli italiani e sul carattere nazionale. La lingua e i dialetti. La fusione degli opposti e la doppiezza italiana. La visione della storia: gli italiani e il loro passato. Berlusconi e il carattere individualista dell'italiano. La prevalenza del "particulare".

Non sono uno storico, un sociologo, un antropologo, niente di tutto questo. Sono soltanto un raccontastorie, un romanziere italiano particolarmente attento, questo sì, ai suoi connazionali.
E quindi non è un caso che tutte le citazioni a supporto o a pretesto siano tratte dalla letteratura, non da testi di storia.
Perciò tutto quello che segue, e che farà sicuramente storcere la bocca agli addetti ai lavori, va preso col beneficio d’inventario.



Premessa generale
Se si prova a cambiare la domanda in cosa sia un francese o un tedesco, si può rispondere abbastanza agevolmente, magari mettendo in fila tutta una serie di luoghi comuni. Certo, anche per gli italiani sono stati coniati luoghi comuni, tipo «italiani brava gente», ma non credo che gli abissini gassati o i libici deportati siano dello stesso parere. E, senza andare troppo indietro nella storia, non penso che possano dichiararsi d’accordo nemmeno gli extracomunitari che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste.

Quando si fece l’Europa unita, molti italiani del Nord temettero di perdere, oltre ai soldini, anche la loro identità. Beati loro, che credevano di averne una. Alcuni padani, per affermarla, si sposarono col rito celtico che nessuno sa con esattezza in cosa consista. Comunque è chiaro che i riti celtici o l’adorazione del fiume Po non hanno nulla da spartire con certi riti del Sud come lo scioglimento del sangue di san Gennaro o il Festino di Santa Rosalia. Allora, come si fa a chiamare con lo stesso nome di italiano un contadino friulano e un contadino siciliano? Mi pare che ai suoi tempi anche il cancelliere Metternich, di fronte alle aspirazioni unitarie italiane, si sia posto suppergiù la stessa domanda.

E aveva poi così tanto torto chi disse che l’Italia era solo un’espressione geografica? E il politico italiano il quale affermò che una volta fatta l’Italia bisognava fare gli italiani non ammetteva implicitamente che il senso di unità nazionale era da noi ancora del tutto assente?

Prima di andare oltre, occorre chiarire come ho inteso il termine «italiano».

Diciamo che ho preso a esempio l’italiano cosiddetto medio («ammesso e non concesso / che l’italiano medio è un poco fesso», cantava Laura Betti un quarantennio fa), vale a dire i risultati di una media statistica e ho cercato d’individuare tra di essi un comune denominatore diverso dal titolo di studio, tipo d’impiego, stipendio mensile eccetera. Ma gli uomini non sono numeri, ciascun individuo ha una propria individualità che rende non solo difficile, ma altamente improbabile la precisione del risultato globale. In altre parole, una ricerca cosiffatta di un comune denominatore rischia di non tener conto di tutto quello che può contraddire l’assunto stesso. Mi spiego meglio: non ricordo chi sosteneva che se un tale in un giorno si è mangiato due polli e un altro tale invece non ha neppure desinato, statisticamente risulterà che ne hanno mangiato uno a testa.

Allora: per fare un esempio pratico: italiani brava gente? La mia risposta è no, ma ciò non toglie che tra gli italiani ci sia tanta, tantissima brava gente. (continua) Fare click qui per leggere l'articolo completo

3 marzo 2009

I poveri sono sempre onesti


YUNUS PORTA ANCHE IN ITALIA LA BANCA SOLIDALE
Il 'banchiere dei poveri' e premio Nobel per la pace Muhammad Yunus porta anche in Italia il microcredito senza garanzie per dare prestiti ai più poveri, soprattutto donne, che non possono avere credito da una banca tradizionale e permettere loro di avviare imprese ed evitare di cadere nelle mani degli usurai. Un sistema che resiste, anzi si rafforza, con l'attuale crisi, rivendica Yunus che vede nel momento attuale l'opportunità di cambiare le cose.

Quindi sciorina con orgoglio l'altissima percentuale (98%) di restituzione dei prestiti a fronte di una generale insolvenza del credito e invoca le aziende italiane a siglare accordi sociali sul modello di quanto hanno fatto Danone o Volkswagen. Nel nostro paese il premio Nobel, che ha presentato il suo libro 'un mondo senza poverta' a Milano e partecipato a un incontro della Fondazione Ducci a Roma, punta a una collaborazione con Unicredit e l'Università di Bologna per dare vita a un'iniziativa "entro l'anno" mentre la Fondazione Cariplo, grande socio di Intesa Sanpaolo (già attiva nel campo con Banca Prossima e i prestiti d'onore) auspica la partecipazione di altri istituti di credito.

Nata in Bangladesh nel 1976 la Grameen Bank, che nel nostro paese assumerà la forma di una Organizzazione Non Governativa e non di una banca, opera già in diversi paesi industrializzati quali gli Stati Uniti o la Spagna. Il premio Nobel ha spiegato che "non è stata ancora decisa la città" in cui aprirà; la sua speranza che possa entrare in funzione "entro l'anno".

Il 'banchiere dei poveri' spiega così che con la crisi, determinata da un 'pugno di uomini', siamo arrivati al punto in cui non vale più la pena di aggiustare la macchina: "va cambiata", cioé va smontato e rifatto "mattone su mattone" il sistema finanziario. Il messaggio è che questo si può fare. La sua idea è quella di mettere a fianco del 'business' che mira solo a far profitto anche quello che chiama 'business sociale' che arriva al pareggio senza guadagni e permette di aiutare la gente basandosi sulla fiducia e non sulla garanzia di solvibilità.

Per il presidente dell'Ispi, Boris Bianchieri, l'aspetto straordinario di Yunus è che "sa suscitare sorrisi" di speranza nelle platee "caso raro in questi ultimi tempi" e che "sa inventare rimedi, avendo creato un'organizzazione straordinaria di cui peraltro non è azionista ma un dipendente". La conferma che questo può funzionare è proprio l'esperienza del microcredito che non vive la crisi attuale. "Non ha alcun impatto - ha spiegato Yunus -. La crisi è del sistema finanziario che costruisce castelli in aria. Quando noi facciamo un prestito è per cose concrete, come una mucca oppure una macchina di cucire".

2 marzo 2009

Anche i ricchi piangono miseria


Non credo che esista un solo manager che tremerà sentendo le parole di Obama, forse faranno un sorrisetto sornione. Ê che Obama non calcola le tasse che questi poveretti devono pagare. Mettiamo che paghino il 35%. Cazzo! il primo de la lista ha pagato quasi 13 milioni di euro! Niente male per uno Stato povero come l'italiano sempre a corto di fondi. Invece di prendersela con questi poveracci perchè non fare di questo una politica: salario minimo di un milione all'anno per tutti, dissoccupati compresi. Così lo Stato potrà ricavare più soldi e uscire dal pesante debito e avere risorse abbondanti per affrontare la crisi.
Certamente sarebbe una misura corretta anche nel senso della sicurezza: non ci saranno più delitti dato che nessun milionario andrà a rovinarsi la vita stuprando per le strade. Lo stesso vale per chi si diverte bruciando barboni: Chi, con due dita di fronte, perderebbe tempo dietro le stazioni cercando il poveraccio di turno.

La classifica dei manager italiani più pagati
"Per i top manager attribuirsi questo tipo di compensi nel mezzo di questa crisi economica non è solo di cattivo gusto, è anche una strategia sbagliata, e io come Presidente non lo tollererò". Barack Obama, 3 febbraio 2009

Legenda

p=presidente; vp=vicepresidente; ad=amministratore delegato; dg=direttore generale; c=consigliere di amministrazione; cdg=consigliere di gestione; cds=consigliere di sorveglianza.

(Dati riferiti al 2007, al lordo delle tasse)

Matteo Arpe ad Capitalia fino al 31 maggio 2007 37.405.281 (di cui 31.226.105 «indennità per risoluzione rapporto di lavoro » e 1.277.831 Tfr)

Cesare Geronzi p Capitalia fino al 30 settembre 2007 23.648.266 (di cui 20 milioni «emolumento straordinario che costituisce anche premio alla carriera»), vp Mediobanca per l’esercizio chiuso al30 giugno 2007 375.000 TOTALE 24.023.266.

Riccardo Ruggiero ad e dg Telecom Italia fino al 2 dicembre 2007 17.227.000 (comprende incentivo all’esodo di 9.900.000), c Safilo 50.000 TOTALE 17.277.000.

Carlo Buora vp Telecom Italia fino al 2 dicembre 2007 11.941.000 (comprende 4 milioni per patto di non concorrenza con erogazione nel 2008-2009)

Giovanni Bazoli indennità speciale di fine mandato p ex Banca Intesa 10.000.000, p cds Intesa Sanpaolo 1.364.000, p Mittel 50.000, c Alleanza 42.570, vp Banca Lombarda 37.499, c Ubibanca 67.659 TOTALE 11.561.728.

Gabriele Galateri di Genola p Mediobanca fino al 2 luglio 2007 11.000.000, vp Rcs 19.000, p Telecom Italia dal 3 dicembre 2007 9.000 TOTALE 11.028.000.

Alessandro Profumo ad Unicredit 9.427.000 (oltre ad azioni gratuite per 3,92 milioni)

Luciano Gobbi dg Pirelli 8.044.000 (di cui 6.360.000 indennità per la risoluzione del rapporto di lavoro)

Fausto Marchionni ad Fondiaria-Sai 7.181.000.

Drago Cerchiari ad Sorin fino al 24 maggio 2007 7.141.000 (include indennità speciali di fine rapporto)

Luca Cordero di Montezemolo p Fiat e Ferrari 7.073.000, c Tod’s 24.700, c Poltrona Frau 10.000, c Indesit fino al 2 maggio 2007 5.330 TOTALE 7.112.330.

Sergio Marchionne ad Fiat 6.906.100.

Marco Tronchetti Provera p Camfin 195.567, p Pirelli e p Pirelli Re 5.951.000 TOTALE 6.146.000

Carlo Puri Negri vp Camfin 96.723, vp Pirelli 370.000, vp e ad Pirelli Re Pirelli 5.565.000, c Telecom Italia fino al 25 ottobre 2007 95.000 TOTALE 6.126.000.

Giampiero Auletta Armenise ad Ubi banca ed ex ad Bpu TOTALE 5.700.000.

Antoine Bernheim p Generali 4.835.009, c Mediobanca 398.000, vp cds Intesa Sanpaolo 358.000, vp Alleanza 82.044 TOTALE 5.673.053.

Giampiero Pesenti p Italmobiliare 1.032.350, p Italcementi e controllate 4.455.000, c Pirelli 70.000, c Mittel 10.000 TOTALE 5.567.350.

Francesco Caltagirone p Cementir Holding 5.155.000.

Jonella Ligresti vp Premafin e p Fondiaria-Sai 4.629.502, c Mediobanca 398.000, c Rcs 19.000 TOTALE 5.046.000.

Ezio Paolo Reggia ad Cattolica fino al 12 giugno 2007 4.893.151

Luigi Zunino p e ad Risanamento 4.790.000.

Adolfo Bizzocchi dg Credem 4.725.000.

Gioacchino Paolo Ligresti vp Premafin, c Fondiaria-Sai, vp Milano, p Immobiliare Lombarda 4.610.000, c Impregilo 13.288 TOTALE 4.623.288.

Giulia Ligresti p Premafin, vp Fondiaria-Sai 4.410.000 c Pirelli 50.000, c Telecom Italia Media 60.000 TOTALE 4.520.000.

Pier Francesco Guarguaglini p e ad Finmeccanica 4.230.000.

Alberto Lina ad e dg Impregilo fino al 13 luglio 2007 3.761.000, vp Sirti fino al 16 novembre 2007 115.500 TOTALE 3.876.500.

Tiberto Ruy Brandolini d’Adda vp Ifil, c Fiat e cariche in società controllate 426.000, p e dg Sequana Capital 3.360.000 TOTALE 3.786.000.

Giovanni Perissinotto ad e dg Generali 3.524.851, cdg Intesa Sanpaolo 150.000, c Pirelli 50.000 TOTALE 3.724.851.

Sergio Balbinot ad e dg Generali 3.662.000.

Francesco Trapani ad Bulgari 3.612.000.

Giovanni Castellucci ad e dg Atlantia e ad Autostrade per l’Italia 3.440.140, vp Impregilo 83.064 TOTALE 3.523.140.

Corrado Passera ad e dg Intesa Sanpaolo 3.503.000, c Rcs 19.000 TOTALE 3.522.000.

Pietro Modiano dg vicario Intesa Sanpaolo 3.505.000.

Maurizio Costa vp e ad Mondadori 3.330.800.

Fedele Confalonieri p Mediaset 3.305.000.

Vittorio Merloni p Indesit 3.253.000, c Telecom Italia fino al 16 aprile 2007 34.000 TOTALE 3.287.000

Fulvio Conti ad e dg Enel 3.102.582

Umberto Quadrino ad Edison 3.042.000

Corrado Faissola ad ex Banca Lombarda e vp Ubi banca 3.033.000

Alberto Nagel dg Mediobanca 3.000.000

Nereo Dacci ad Banco di Desio e cariche in controllate 2.986.573

Paolo Scaroni ad e dg Eni 2.785.000, c Generali dal 28 aprile 2007 105.850 TOTALE 2.890.850

Enrico Marchi p Save 2.855.027

Antonio Talarico ad e dg Immobiliare Lombarda, vp Fondiaria-Sai, c Milano TOTALE 2.827.615

Giorgio Zappa dg Finmeccanica 2.751.000

Roberto Tunioli vp e ad Datalogic 2.624.000, c Interpump 55.000 TOTALE 2.674.000

Roberto Cera c Atlantia 55.000, consulenze per il gruppo allo studio legale Bonelli Erede Pappalardo di cui è socio 2.611.264 TOTALE 2.666.264

Andrea Guerra ad Luxottica 2.602.000, c Parmalat 36.000 TOTALE 2.638.000

Aureliano Benedetti p Cassa risparmio Firenze 2.633.200

Massimo Moratti ad Saras 2.536.000, c Pirelli 50.000, c Telecom Italia fino al 16 aprile 2007 34.000 TOTALE 2.620.000

La classifica è tratta da "La paga dei padroni", di Gianni Dragoni e Giorgio Meletti

Giustizia è fatta...anche se in contumacia.


A ROMA ERGASTOLO PER L’"Angelo della Morte"
Sembra proprio una risposta dei giudici alla frivolezza di Silvio Berlusconi che pochi giorni fa aveva scherzato sui voli della morte durante la dittatura in Argentina. Giovedì, la Cassazione di Roma ha confermato la condanna definitiva alla pena dell’ergastolo per Alfredo Astiz, assassino di tre cittadini italiani: Angela Maria Ajeta, Giovanni e Susanna Pecoraro, torturati ed assassinati dallo stesso Astiz.

Questo era all’epoca tenente di marina conosciuto come l’"Angelo della Morte, nell’ESMA, la Scuola meccanica della marina militare argentina convertita in campo di concentramento e sterminio ed oggi Museo della Memoria.

Astiz è già stato condannato all’ergastolo in Francia per l’assassinio di due suore, Alice Dumont e Leonie Duquet quando l’Angelo Biondo si era infiltrato nel primo gruppo delle Madri di Plaza de Mayo, che si riuniva nella Chiesa di Santa Cruz a Buenos Aires, spacciandosi per fratello di una desaparecida, sequestrandone, torturandone e assassinandone dodici, ed è attualmente recluso in Argentina in attesa di essere finalmente giudicato per le sue dirette responsabilità. Era inoltre uno dei più stretti collaboratori dell’Ammiraglio Massera, nel sistema dei voli della morte, con i quale i prigionieri politici, dopo il tormento, venivano lanciati vivi nell’Oceano Atlantico.

Nella sua arringa finale il sostituto procuratore generale della Cassazione, Luigi Ciampoli, ha chiesto e poi ottenuto la conferma dell’ergastolo per Astiz, già condannato lo scorso 24 aprile (insieme a Jorge Eduardo Acosta, Antonio Vanek e Jorge Raul Vildoza che non hanno presentato appello) dalla Corte d’Assise di Roma per “l’inumana ferocia documentata da fatti e testimonianze”.

Angela Maria Ajeta era madre di un dirigente della Gioventù Peronista, Dante Gullo, di origine calabrese e sia la Regione Calabria che la Provincia di Cosenza e l’Avvocatura dello Stato si erano costituiti come parti civili nel processo. La catturarono, torturarono e assassinarono per ricattare il figlio.

Anche Giovanni Pecoraro non era un guerrigliero ma un semplice imprenditore edile. La sua "colpa" fu quella di voler incontrare la figlia, Susanna, anch’essa militante della JP, un’organizzazione non armata, come non erano parte di organizzazioni guerrigliere circa il 95% dei 30.000 desaparecidos argentini. Susanna, incinta, fu eliminata dopo aver dato alla luce una bambina, rintracciata solo nel 2007 dalle “Nonne di Plaza de Mayo”, l’organizzazione che si occupa di rintracciare i figli dei desaparecidos fatti sparire dai militari.

Per la difesa di Astiz nessuna di queste persone è morta ma ha fatto semplicemente sparire le proprie tracce. Adesso si attende la conferma della richiesta di estradizione per Astiz da parte della giustizia italiana. Coraggioso nel tradire madri, torturare uomini legati e donne incinte e lanciarli poi nell’Oceano con i voli della morte, quelli sui quali si diverte Silvio Berlusconi (membro della loggia P2 come lo stesso l’Ammiraglio Massera), Astiz è famoso anche per essere stato il primo ufficiale argentino ad arrendersi all’esercito britannico nella guerre delle Malvinas (Falklands) nel 1983. Mentre centinaia di ragazzi del servizio di leva venivano massacrati o morivano congelati, lui non ha difeso neanche i suoi propri uomini.