Appunti per una definizione
di Andrea Camilleri (24/02/09)
Il grande scrittore si interroga sull'identità degli italiani e sul carattere nazionale. La lingua e i dialetti. La fusione degli opposti e la doppiezza italiana. La visione della storia: gli italiani e il loro passato. Berlusconi e il carattere individualista dell'italiano. La prevalenza del "particulare".
Non sono uno storico, un sociologo, un antropologo, niente di tutto questo. Sono soltanto un raccontastorie, un romanziere italiano particolarmente attento, questo sì, ai suoi connazionali.
E quindi non è un caso che tutte le citazioni a supporto o a pretesto siano tratte dalla letteratura, non da testi di storia.
Perciò tutto quello che segue, e che farà sicuramente storcere la bocca agli addetti ai lavori, va preso col beneficio d’inventario.
Premessa generale
Se si prova a cambiare la domanda in cosa sia un francese o un tedesco, si può rispondere abbastanza agevolmente, magari mettendo in fila tutta una serie di luoghi comuni. Certo, anche per gli italiani sono stati coniati luoghi comuni, tipo «italiani brava gente», ma non credo che gli abissini gassati o i libici deportati siano dello stesso parere. E, senza andare troppo indietro nella storia, non penso che possano dichiararsi d’accordo nemmeno gli extracomunitari che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste.
Quando si fece l’Europa unita, molti italiani del Nord temettero di perdere, oltre ai soldini, anche la loro identità. Beati loro, che credevano di averne una. Alcuni padani, per affermarla, si sposarono col rito celtico che nessuno sa con esattezza in cosa consista. Comunque è chiaro che i riti celtici o l’adorazione del fiume Po non hanno nulla da spartire con certi riti del Sud come lo scioglimento del sangue di san Gennaro o il Festino di Santa Rosalia. Allora, come si fa a chiamare con lo stesso nome di italiano un contadino friulano e un contadino siciliano? Mi pare che ai suoi tempi anche il cancelliere Metternich, di fronte alle aspirazioni unitarie italiane, si sia posto suppergiù la stessa domanda.
E aveva poi così tanto torto chi disse che l’Italia era solo un’espressione geografica? E il politico italiano il quale affermò che una volta fatta l’Italia bisognava fare gli italiani non ammetteva implicitamente che il senso di unità nazionale era da noi ancora del tutto assente?
Prima di andare oltre, occorre chiarire come ho inteso il termine «italiano».
Diciamo che ho preso a esempio l’italiano cosiddetto medio («ammesso e non concesso / che l’italiano medio è un poco fesso», cantava Laura Betti un quarantennio fa), vale a dire i risultati di una media statistica e ho cercato d’individuare tra di essi un comune denominatore diverso dal titolo di studio, tipo d’impiego, stipendio mensile eccetera. Ma gli uomini non sono numeri, ciascun individuo ha una propria individualità che rende non solo difficile, ma altamente improbabile la precisione del risultato globale. In altre parole, una ricerca cosiffatta di un comune denominatore rischia di non tener conto di tutto quello che può contraddire l’assunto stesso. Mi spiego meglio: non ricordo chi sosteneva che se un tale in un giorno si è mangiato due polli e un altro tale invece non ha neppure desinato, statisticamente risulterà che ne hanno mangiato uno a testa.
Allora: per fare un esempio pratico: italiani brava gente? La mia risposta è no, ma ciò non toglie che tra gli italiani ci sia tanta, tantissima brava gente. (continua) Fare click qui per leggere l'articolo completo
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