31 gennaio 2009

Contradizioni italiote


Storielle quotidiane del Bel Paese, nel bel mezzo della crisi.

Comune di Milano, il rebud dei superstipendi. La giunta studia come salvare i manager
Si cerca un paracadute per i compensi di Elio Catania (Atm), 480.000 euro l’anno più bonus vari; e Bonomi (Sea), 650.000 euro l’anno e bonus vari, già censurati dalla Corte dei conti.

Scuole, non ci sono più soldi per la manutenzione ordinaria
Lo sfogo dei dirigenti: "Non se ne può più di vetri rotti e infissi logori". La protesta degli studenti in Provveditorato dopo la tragedia in Piemonte: "Non si può morire a scuola".

Ronde antidegrado a Milano, la Moratti arruola 100 poliziotti in pensione
Si chiamano "sentinelle antidegrado": da oggi un centinaio di ex poliziotti presidieranno le strade più a rischio di Milano. Armati solo di telefonino però. Le nuove ronde, che costeranno al Comune 1 milione e 732 mila euro, saranno composte da squadre di volontari in pettorina azzurra e gestite dall'Associazione poliziotti italiani e dai Blue Berets.

Viale Monza, Milano: degrado dopo le promesse
Strade sconnesse, buio e sporcizia. I residenti accusano il Comune che ammette i ritardi e promette la riqualificazione dell'area. Come aveva fatto nel 2007. Il comitato che rappresenta i residenti nel tratto della strada compreso fra Loreto e Pasteur ha scritto al Comune per sapere quando diventeranno realtà gli annunci fatti dal sindaco Letizia Moratti ventitré mesi fa, dopo la fiaccolata «contro spaccio e degrado» del febbraio 2007. Ora vogliono vedere i risultati.

Il nuovo Castello Sforzesco
In autunno con 20 milioni di euro l'inizio dei lavori che si concluderanno nel 2011. Il sindaco Letizia Moratti promette: "Diventerà il museo dei musei". Ci sono alcune chicche. Come la costruzione di una torre in legno, in corrispondenza del Rivellino ma esterna alle mura, «semplice, di una geometria pura, divertente da progettare» ha spiegato l’architetto De Lucchi.

I capricci di Hefner a Sanremo: Vuole l'harem con 40 playmate
Si parla di una suite con idromassaggio, finte cameriere vestite in latex, chili di viagra e stimolanti.

Roma in pista per la Formula 1
Flammini s'è visto con Ecclestone. Alemanno: «Il progetto è interessante». La F1 di Ecclestone va dove ci sono i quattrini e un organizzatore disponibile a farne guadagnare tanti al piccolo grande capo della F1.

I militari: «Il premier ci svilisce».
“Non bastava la monnezza, lo spegnimento di incendi, la demolizione di opere abusive, la spalatura della neve, il (per ora abortito, ma non si sa mai) controllo della sicurezza dei cantieri di lavoro. Ecco che quello che avrebbe dovuto essere un esperimento limitato nel tempo e nella quantità, si trasformerà fino a far diventare i pattuglioni una presenza fissa - e massiccia - nelle nostre città. Si va ciò affermando una tendenza pericolosa: tutto ciò che riguarda la sicurezza dei cittadini può essere trasformato in emergenza e quindi tutto può richiedere l'impiego dei militari.

Un passaggio funzionale a un ulteriore trasformazione che le forze armate stesse stanno subendo: da strumento a disposizione dell'intero Paese per l'implementazione delle politiche estera e di sicurezza in uno a disposizione di pochi da impiegare in maniera funzionale alla raccolta del consenso popolare», scrive Giovanni Martinelli. E aggiunge: «Su questo quadro aleggiano quella scarsa preparazione e quella incompetenza dimostrate sia dall'attuale titolare del dicastero della Difesa ma ugualmente diffuse in larga parte del Governo e del Parlamento. Una situazione di grave deficit/arretratezza culturale sui temi della sicurezza e della difesa, efficacemente illustrata dall'affermazione del presidente del Consiglio che, per giustificare l'aumento dei militari nelle città, dichiara: "invece di essere un esercito che sta a fare la guardia nei confronti del deserto dei Tartari sarà utilizzato per combattere l'esercito del male"».

Descifrando a Obama


Ni siquiera es necesario leer entre-líneas

Por Fidel Castro
No es demasiado difícil. Después de su toma de posesión, Barack Obama declaró que la devolución del territorio ocupado por la Base Naval de Guantánamo a su legítimo dueño debía sopesar, en primer término, si afectaba o no en lo más mínimo, la capacidad defensiva de Estados Unidos.

Añadía de inmediato que, respecto de la devolución a Cuba del territorio ocupado por la misma, debía considerar bajo qué concesiones la parte cubana accedería a esa solución, lo cual equivale a la exigencia de un cambio en su sistema político, un precio contra el cual Cuba ha luchado durante medio siglo.

Mantener una base militar en Cuba contra la voluntad de nuestro pueblo viola los más elementales principios del derecho internacional. Es una facultad del presidente de Estados Unidos acatar esa norma sin condición alguna. No respetarla constituye un acto de soberbia y un abuso de su inmenso poder contra un pequeño país.

Si se desea comprender mejor el carácter abusivo del poder del imperio debe tomarse en cuenta las declaraciones publicadas en el sitio oficial de Internet por el gobierno de Estados Unidos el 22 de enero de 2009, después del acceso al mando de Barack Obama. Biden y Obama deciden apoyar resueltamente la relación entre Estados Unidos e Israel y consideran que el incontrovertible compromiso en Medio Oriente debe ser la seguridad de Israel, el principal aliado de Estados Unidos en la región.

Estados Unidos nunca se distanciará de Israel y su presidente y vicepresidente “creen resueltamente en el derecho de Israel de proteger a sus ciudadanos”, asegura la declaración de principios, que retoma en esos puntos la política seguida por el gobierno del predecesor de Obama, George W. Bush.

Es el modo de compartir el genocidio contra los palestinos en que ha caído nuestro amigo Obama. Edulcorantes similares ofrece a Rusia, China, Europa, América latina y el resto del mundo, después que Estados Unidos convirtió a Israel en una importante potencia nuclear que absorbe cada año una parte significativa de las exportaciones de la próspera industria militar del imperio, con lo cual amenaza, con una violencia extrema, a la población de todos los países de fe musulmana.

Ejemplos parecidos abundan, no hace falta ser adivino. Léase, para más ilustración, las declaraciones del nuevo jefe del Pentágono, experto en asuntos bélicos.

30 gennaio 2009

Che bell'ombellico che ho!


In Italia la pulizia etnica comincia dai ristoranti
L’idea che stiamo diventando un paese sempre più intollerante e fondamentalmente ipocrita, è sempre più forte. Prendiamo la Lombardia, pochi sanno che la Regione sta lavorando a una norma di legge regionale, voluta dal Pdl e dalla Lega, che vorrebbe allontanare tutti i locali etcnici dai centri storici delle città. Dunque in lombardia niente kebab, niente ristoranti africani, forse niente thailandesi o giapponesi, ma solidi, sanguigni, e tradizionalissimi ristoranti e osterie italiane.

Ora, sono piccoli dettagli, ma spiegano molto. Naturalmente una norma regionale di questo tipo è quanto di più razzista e inverosimile si possa immaginare. La norma è quasi inapplicabile: è assai difficile impedire a un cittadino italiano, magari nato in Egitto, o in Libano di cucinare cibi come il kebab. E probabilmente è anche anticostituzionale.

Come al solito, siamo a metà tra il ridicolo e l’indecente. Svuotiamo i centri storici lombardi da sapori esotici, dai cumini, dai curry, dai sushi e sashimi, riempiamo i locali di polente, di abbacchi, di porchette. Dimentichiamo che da più di cinquant’anni le città più progredite del mondo sono piene di ristoranti etnici, che rappresentano un pezzo della storia di quei paesi, soprattutto quelli che hanno avuto una importante storia coloniale nel loro passato.

Ormai sappiamo che il cibo è cultura, e che il cibo è anche condivisione: uno degli elementi che possono portarci a un futuro di maggiore tolleranza, una delle possibilità – tra le più semplici - che abbiamo di avvicinarci a culture più lontane e meno conosciute. Avviene a New York e a Londra, a Berlino come a Parigi. Ma nella nostra Lombardia, regione profondamente civile e attiva, siamo arrivati al paradosso; a una sorta di autarchia alimentare che farebbe ridere se non fosse terribilmente seria.

È l’ennesima iniziativa razzista e xenofoba ispirata dalla Lega Nord. Non sappiamo come potranno farlo, se appena oltrepassati i confini dei centri storici, troveremo allineati uno accanto all’altro tutti i ristoranti e i locali etnici, come fossero in un ghetto. Ristoratori allontanati dai centri come degli appestati.

Peccato che la battaglia sul “cibo” italiano può colpire gli egiziani, ma non gli americani di McDonald. Quelli no, quelli vanno bene. Anche in galleria a Milano, di fronte a Savini. In questo caso la tradizione non serve, loro non sono mica musulmani, sono di Oak Brook, sobborgo di Chicago, stato dell’Illinois, e provincia di Bergamo. O no?

Come di solito, si gioca con delle regole che fanno pagare al popolo i profitti dei ricchi, ma anche le perdite. Si dà un mucchio di soldi agli imprenditori che portarono allegramente le proprie imprese alla bancarotta e si pensa già ad allungare l'età pensionabile sperando che la gente crepi prima di raggiungerla. Soldi alla comunità, mai; soldi agli imprenditori, sempre. Questo governo, governa per qui?

Le pensioni e il welfare sotto il mirino di Tremonti
di Bianca di Giovanni

Il governo chiede alle Regioni 2,6 miliardi di fondi europei, a cui lo Stato aggiungerà altri 5 miliardi. Il tutto per finanziare il pacchetto di ammortizzatori necessari a fronteggiare l’emergenza. È il contenuto del documento inviato ieri mattina ai governatori. Poche ore, e da Davos dove il ministro dell’Economia è in visita arriva l’altro annuncio, lasciato filtrare ai giornalisti. Servono riforme delle pensioni e del welfare. Quanto basta per far esplodere l’ennesima polemica, mentre il paese va a rotoli. Tra le amministrazioni locali serpeggia il nervosismo. Pronte a collaborare, certo, ma non a scatola chiusa. Chiedono chiarezza, ma i dati e le vere intenzioni dell’esecutivo non si conoscono ancora. I timori? Che alla fine a pagare saranno soprattutto loro, con un abile gioco di voci di bilancio.

Un torturatore impune


Troccoli, il Battisti uruguayano
di Roberto Rossi

Un caso “Cesare Battisti” ce lo abbiamo anche in Italia. Non ha sollevato le polemiche. Anzi, è passato sottotraccia, senza creare scalpore, senza alcuna indignazione ministeriale o richieste di annullamento di amichevoli.

Il “nostro Cesare Battisti” è uruguayano, anche se da qualche anno ha la nazionalità italiana. Si chiama Jorge Troccoli. Ha 64 anni, la corporatura robusta e un pizzetto bianco. È stato capitano dei Fucilieri Navali dell’Uruguay, ed è accusato di aver fatto sparire un numero imprecisato di persone nel suo paese tra il 1975 e il 1983. Tra questi sei cittadini italiani. Il governo Berlusconi, nel settembre scorso, ha respinto la sua richiesta di estradizione.

Secondo la magistratura Troccoli prese parte a quello che è conosciuto come Piano Condor. Una sorta di internazionale del terrore che, negli anni ’70, coordinò il sequestro, l'interscambio e la sparizione di migliaia di oppositori politici in Cile, Paraguay, Uruguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Troccoli ammise la sua partecipazione al trasporto clandestino dei detenuti politici tra Uruguay e Argentina ma non ha mai subito un processo. Troccoli ha lasciato il Sud America da tempo per rifugiarsi proprio in Italia, dove nel 2002, nonostante si conoscesse il suo passato, ha ottenuto la cittadinanza italiana.

Secondo la stampa uruguayana per lo stesso reato di cui è accusato Troccoli, «omicidio specialmente aggravato» e «violazione dei diritti umani», lo scorso ottobre la Corte d’Appello di Montevideo ha confermato l’incriminazione dell’ex dittatore Gregorio Alvarez e dell’ufficiale della Marina in pensione Juan Carlos Lacerbeau. In Italia Troccoli è stato arrestato il 29 dicembre del 2007 a Marina di Camerota in provincia di Salerno nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pubblico ministero Giancarlo Capaldo sui deparecidos di origine italiana. Nella quale sono coinvolte circa 147 persone (14 brasiliani, 61 argentini, 32 uruguayani, 22 cileni, 7 boliviani, 7 paraguyani e 4 peruviani) accusate di crimini contro l’umanità. Ma in carcere Troccoli era rimasto poco. La Corte di Appello di Salerno lo aveva rimesso in libertà il 24 aprile scorso non essendo pervenuta nel termine previsto del 23 marzo la richiesta di estradizione dall’Uruguay. Nel paese sudamericano la cosa aveva sollevato un caso nazionale.

Dopo due mesi di proteste lo scorso giugno il governo di Montevideo aveva deciso di sollevare l’ambasciatore Carlos Abin e il suo braccio destro Tabare’ Bocalandro. Ma soprattutto di proseguire la causa contro l’ex capitano, riprendendo l’iter di estradizione. Una richiesta che lo scorso settembre ha subito un brusco stop. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha negato alle autorità uruguayane di riprendersi Troccoli. Nella risoluzione si sostiene che l’ex militare accusato di crimini contro l’umanità è nato in Italia ed è rimasto cittadino italiano, per cui per il trattato in vigore tra i due paesi, non è estradabile. Nonostante ciò, si dice sempre nella sentenza, «l’Uruguay potrà sempre chiedere all’Italia che venga sottoposto a processo per reato di sparizione forzata».

29 gennaio 2009

La dignità di una esiliata


Lettera di dimissioni all'ANM di Gabriella Nuzzi, pm a Salerno esiliata per onestà e coerenza.

Questa è la lettera che Gabriella Nuzzi - pubblico ministero a Salerno, trasferita dal suo ufficio dal Csm su richiesta del ministro Alfano per aver osato indagare sul malaffare giudiziario di Catanzaro che aveva già espulso come un corpo estraneo Luigi De Magistris - ha inviato al presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, annunciandogli le sue dimissioni dal sindacato delle toghe, che si è schierato dalla parte del ministro e del Csm. E' un documento che parla da sè, per la sua dolente onestà intellettuale e per la sua drammatica rappresentatività della notte che avvolge la nostra democrazia.
Marco Travaglio


"Alla Associazione Nazionale Magistrati - Roma

"Signor Presidente,

Le comunico, con questa mia, l’irrevocabile decisione di lasciare l’Associazione Nazionale Magistrati.

Il plauso da Lei pubblicamente reso all’ingiustizia subita, per mano politica, da noi Magistrati della Procura della Repubblica di Salerno è per me insopportabilmente oltraggioso.

Oltraggioso per la mia dignità di Persona e di essere Magistrato.

Sono stata, nel generale vile silenzio, pubblicamente ingiuriata; incolpata di ignoranza, negligenza, spregiudicatezza, assenza del senso delle istituzioni; infine, allontanata dalla mia sede e privata delle funzioni inquirenti, così, in un battito di ciglia, sulla base del nulla giuridico e di un processo sommario.

Per bocca sua e dei suoi amici e colleghi, la posizione dell’Associazione era già nota, sin dall’inizio.Quale la colpa? Avere, contrariamente alla profusa apparenza, doverosamente adottato ed eseguito atti giudiziari legittimi e necessari, tali ritenuti nelle sedi giurisdizionali competenti.

Avere risposto ad istanze di verità e di giustizia. Avere accertato una sconcertante realtà che, però, doveva rimanere occultata.

Né lei, né alcuno dei componenti dell’associazione che oggi degnamente rappresenta ha sentito l’esigenza di capire e spiegare ciò che è davvero accaduto, la gravità e drammaticità di una vicenda che chiama a riflessioni profonde l’intera Magistratura, sul suo passato, su ciò che è, sul suo futuro; e non certo nell’interesse personale del singolo o del suo sponsor associativo, ma in forza di una superiore ragione ideale, che è – o dovrebbe essere – costantemente e perennemente viva nella coscienza di ogni Magistrato: la ricerca della verità.

Più facile far finta di credere alla menzogna: il conflitto, la guerra tra Procure, la isolata follia di “schegge impazzite”.Il disordine desta scandalo: immediatamente va sedato e severamente punito.Il popolo saprà che è giusto così.

E il sacrificio di pochi varrà la Ragion di Stato.

L’Associazione non intende entrare nel merito. Chiuso.

Nel dolore di questi giorni, Signor Presidente, il mio pensiero corre alle solenni parole che da Lei (secondo quanto riportato dalla stampa) sarebbero state pubblicamente pronunciate pochi attimi dopo l’esemplare “condanna”: “Il sistema dimostra di avere gli anticorpi”.

Dunque, il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di saper funzionare. Mi chiedo, allora, inquieta, a quale “sistema” Lei faccia riferimento. Quale il “sistema” di cui si sente così orgogliosamente rappresentante e garante. Un “sistema” che non è in grado di assicurare l’osservanza minima delle regole del vivere civile, l’applicazione e l’esecuzione delle pene? Un “sistema” in cui vana è resa anche l’affermazione giurisdizionale dei fondamentali diritti dell’essere umano; ove le istanze dei più deboli sono oppresse e calpestato il dolore di chi ancora piange le vittime di sangue? Un “sistema” in cui l’impegno e il sacrificio silente dei singoli è schiacciato dal peso di una macchina infernale, dagli ingranaggi vetusti ed ormai irrimediabilmente inceppati? Un “sistema” asservito agli interessi del potere, nel quale è più conveniente rinchiudere la verità in polverosi cassetti e continuare a costellare la carriera di brillanti successi?

Mi dica, Signor Presidente, quali sarebbero gli anticorpi che esso è in grado di generare? Punizioni esemplari a chi è ligio e coraggioso e impunità a chi palesemente delinque? E quali i virus? E mi spieghi, ancora, quale sarebbe “il modello di magistrato adeguato al ruolo costituzionale e alla rilevanza degli interessi coinvolti dall’esercizio della giurisdizione” che l’Associazione intenderebbe promuovere? Ora, il “sistema” che io vedo non è affatto in grado di saper funzionare. Al contrario, esso è malato, moribondo, affetto da un cancro incurabile, che lo condurrà inesorabilmente alla morte. E io non voglio farne parte, perché sono viva e voglio costruire qualcosa di buono per i nostri figli. Ho giurato fedeltà al solo Ordine Giudiziario e allo Stato della Repubblica Italiana. La repentina violenza con la quale, in risposta ad un gradimento politico, si è sommariamente decisa la privazione delle funzioni inquirenti e l’allontanamento da inchieste in pieno svolgimento nei confronti di Magistrati che hanno solo adempiuto ai propri doveri, rende, francamente, assai sconcertanti i vostri stanchi e vuoti proclami, ormai recitati solo a voi stessi, come in uno specchio spaccato. Mentre siete distratti dalla visione di qualche accattivante miraggio, faccio un fischio e vi dico che qui sono in gioco i principi dell’autonomia e dell’indipendenza della Giurisdizione. Non gli orticelli privati. Non vale mai la pena calpestare e lasciar calpestare la dignità degli esseri umani.

Per quanto mi riguarda, so che saprò adempiere con la stessa forza, onestà e professionalità anche funzioni diverse da quelle che mi sono state ingiustamente strappate, nel rispetto assoluto, come sempre, dei principi costituzionali, primo tra tutti quello per cui la Legge deve essere eguale per deboli e potenti. So di avere accanto le coscienze forti e pure di chi ancora oggi, nonostante tutto, crede e combatte quotidianamente per l’affermazione della legalità. Ed è per essa che continuerò sempre ad amare ed onorare profondamente questo lavoro.

Signor Presidente, continui a rappresentare se stesso e questa Associazione.

Io preferisco rappresentarmi da sola".

Dott.ssa Gabriella NUZZI
Magistrato

27 gennaio 2009

Proyecto Sur responde


¿Gurkas?, ¿testimoniales?, ¿voceros del medio pelo? Vamos...

Por Alcira Argumedo - Sociologa, integrante de Proyecto Sur
Es preocupante que en su estrategia discursiva, algunos miembros de Carta Abierta y otros cuadros utilicen una virulencia de agravios personales con la que intentan silenciar el debate sobre políticas del Gobierno de las cuales prefieren no hablar. Esta película ya la vimos y en su artículo “Voceros del medio pelo” (en Página/12, el 19 de enero pasado) Hugo Barcia la recuerda bien. Desde 1994 denunciamos que Chacho Alvarez, Graciela Fernández Meijide, Aníbal Ibarra y adláteres estaban traicionando el proyecto del Frente Grande como oposición al modelo neoliberal, al subordinarse a las presiones de los grupos económico-financieros, de Estados Unidos, del FMI y el Banco Mundial. Debieron pasar siete años, con leyes de flexibilización laboral, designación de Cavallo, baja de salarios y jubilaciones, corralitos bancarios o 19 y 20 de diciembre de 2001, para que se percibiera la traición: hasta entonces, los insultos políticos que pretendían descalificarnos eran, entre otros, “gurkas” o “testimoniales”.

Barcia señala: “Pino, vos que enronqueciste tu voz contra aquel progresismo genuflexo que empezó hablando, a principios de los ’90, de llenar de contenidos a la política y terminó devolviendo a Cavallo al Ministerio de Economía, no podés confundirte ni podés despotricar contra los compañeros de Carta Abierta”. Alguien dijo que un político honesto o un intelectual coherente es aquel que puede resistir la prueba de los archivos. Sucede que muchos integrantes de ese progresismo genuflexo (Barcia dixit) detentan o han detentado cargos en los gobiernos Kirchner –Chacho Alvarez es su representante en el Mercosur– y otros pertenecen a Carta Abierta, donde además participan compañeros y amigos de toda la vida a quienes respetamos. Ahora, al criticar las distorsiones de las políticas del Gobierno –ante el drama de la mortalidad infantil– usando malas artes, se busca pegar a Pino con la Sociedad Rural y La Nación, y nos llaman “voceros del medio pelo”, ansiosos de “brindar con champán con la oligarquía terrateniente”, como los “muchachos que en los años ’40 quedaron del lado de Spruille Braden en la Unión Democrática”. Dados los desafíos y peligros que conlleva la actual crisis mundial –una crisis de carácter civilizatorio que hace tiempo veníamos anunciando– sería muy necio caer en la trampa de una polémica estéril, basada en agresiones o insultos.

En Argentina se está hablando de la muerte de chicos por desnutrición o causas evitables; del crimen que significan esas muertes. En el encuentro del Mercosur realizado en Córdoba en el 2006, Fidel Castro propuso incluir planes sociales de salud, junto con la erradicación del analfabetismo y otros males de la miseria, ofreciendo la experiencia de su país. Porque la integración autónoma de América latina no solamente debe hacerse en términos de acuerdos centrados en lo económico y financiero, sino además como una reivindicación de la dignidad y el bienestar del conjunto de los latinoamericanos. En esa oportunidad, el líder cubano mencionó que algunos países ricos como Argentina tenían índices injustificables de mortalidad infantil del 16 por mil. Ante la intervención del presidente Kirchner, señalando que esos índices habían descendido al 12 por mil, Fidel le contestó públicamente: “Si tú quieres, puedes bajarla al tres por mil”. Reiteramos: “Si tú quieres”.

El simplismo de Barcia al abordar el tema “del campo” silencia nuestro acuerdo con las retenciones móviles pero segmentadas y vuelve a dejar sin respuesta por qué la posición oficial se negó a crear una comisión investigadora –en función de la denuncia de Claudio Lozano, apoyado en las investigaciones de Mario Cafiero, Javier Llorens y Ricardo Monner Sans–de un desfalco al Estado por 1750 millones de dólares, en favor de Bunge, Cargill, Nidera, Aceitera General Deheza, Grobocopatel, Monsanto y otros componentes de los nefastos agronegocios, contra los que tan lúcidamente ha venido luchando Jorge Rulli. ¿Son estas corporaciones parte del pueblo, dados sus estrechos vínculos con el Gobierno? ¿No deben incluirse esos 1750 millones en “el heroico intento por redistribuir una parte de la riqueza que nos pertenece a todos los argentinos”? ¿Por qué Carta Abierta no ha mencionado nunca ese desfalco, que fue la clave del voto contra la Resolución 125 de Claudio Lozano? Se apoyó sin problemas la estatización de Aerolíneas o de las AFJP, al aceptarse las modificaciones del proyecto oficial; porque no pretendemos “esmerilar al Gobierno, desgastarlo y, si es posible, alcanzar el clima destituyente”. Pero tampoco podemos callarnos. Nuestro objetivo es demostrar que existe una alternativa diferente para superar la crisis, la miseria y el dolor de una alta proporción de nuestros compatriotas, sacar adelante el país y promover la integración latinoamericana, tomando en consideración los impactos y potencialidades de la Revolución Científico-Técnica en curso.

El problema central es de dónde salen y hacia dónde se destinan los recursos; tema que Solanas desarrolla en su artículo (en Página/12, el 5 de enero) y sus críticos eluden: “Entregar los recursos naturales que permitirían terminar con el hambre y la indigencia es la otra cara del crimen del hambre (...) Hay hambre porque no existe la voluntad política de terminar con él (...) La prioridad del gobierno kirchnerista es subsidiar a las corporaciones con 10 mil millones de dólares anuales”. Es un mérito indiscutible haber alcanzado entre 2003 y 2008 los más altos niveles de crecimiento económico y de superávit fiscal de la historia argentina. Hasta el inicio de la crisis, disminuyeron los índices de desocupación, pobreza y mortalidad infantil: imposible saber exactamente cuánto, por las cifras del Indec y otros organismos oficiales que controla Moreno. Si una parte de esas riquezas se hubiera destinado a la lucha contra el hambre infantil y no en beneficio de esas corporaciones, seguramente era posible llegar a ese tres por mil del “si tú quieres”. Por lo tanto, debemos interrogarnos hacia dónde van los recursos y analizar políticas que exhiben continuidad entre los gobiernos Kirchner.

1. Frente al Tren Bala, proponemos el Tren para Todos, que supone reconstruir una red ferroviaria con desarrollo tecnológico propio y producción local; los recursos para este proyecto existen, si se recupera la renta petrolera y gasífera como en Venezuela o Bolivia.
2. Nos oponemos al veto a la ley de protección de los glaciares que, además de las aberrantes consecuencias ecológicas, favorece a la Barrick Gold, a los negocios del gobernador Gioja y a otros socios imaginables.
3. Denunciamos la política minera, por la impune contaminación con cianuro de aguas potables y el uso irresponsable de ese bien estratégico junto al saqueo de metales valiosos, “riqueza que nos pertenece a todos los argentinos”.
4. Cuestionamos la ley de blanqueo de capitales y la anulación de los juicios por corrupción financiera o coimas: un favor que no beneficia precisamente a las clases populares.
5. Repudiamos los aportes por 8750 millones de dólares (certificados de crédito fiscal que pueden utilizarse para cancelar impuestos y financiar nuevas inversiones) a Repsol, British Petroleum, Pan American Energy, Esso o Shell.
6. Criticamos la entrega a la British Petroleum de las reservas de Cerro Dragón por cuatro décadas, hasta su extinción total; reprivatizada diez años antes del término de la concesión. No aceptamos tener un doble discurso, por nuestro supuesto apoyo a la oligarquía, que nos prohíbe hablar de la nacionalización del petróleo y otras áreas estratégicas.
7. Denunciamos el decreto 125/05, al prorrogar por diez años las concesiones a los grandes medios de comunicación que ahora, con razón, tanto se critican.
Estos son sólo algunos de los temas que planteamos para un debate serio y riguroso con Carta Abierta y otros sectores. La magnitud de la crisis mundial nos obliga a todos a buscar con grandeza los caminos de ese porvenir que nuestros pueblos de América latina se merecen.

Giornata della Memoria

PARA NO OLVIDAR

PER NON DIMENTICARE

Visitare il sito di Vientos del Sur: http://www.vientosdelsur.org/Palestina%20imagenes%20comparadas.htm

26 gennaio 2009

Neoliberismo en bancarrota


LA CRISIS HACE ESTRAGOS EN LA MAYORIA DE LAS ECONOMIAS. HAY DESPIDOS A MANSALVA
Como 2001, pero a escala planetaria
Una recopilación de noticias de sólo los últimos diez días refleja el impacto que la crisis está teniendo en distintos países. Ninguna región queda a salvo y se teme que sea peor.

El cataclismo financiero que arrancó en Estados Unidos y se propagó rápidamente al resto del mundo fue apenas el comienzo de una crisis internacional devastadora. Recién ahora se empieza a advertir su verdadero impacto en términos económicos y sociales. Las mayores economías del planeta están atravesando una situación en algún punto comparable con la debacle argentina de 2001. En ambos casos, la explosión se produjo luego de haber llevado a un extremo la filosofía del libre mercado. Las consecuencias del derrumbe de esos modelos también son semejantes. A continuación se repasan las noticias sólo de los últimos diez días con los efectos de la crisis en distintos países. El ejercicio muestra que ninguna región queda a salvo, aunque algunas padecen más que otras.

Se insiste en que son apenas los acontecimientos de los últimos diez días:


Estados Unidos

- La farmacéutica Pfizer planea eliminar 2400 empleos durante el primer trimestre del año.

- Por la contracción económica, la inflación de todo 2008 fue de apenas 0,1 por ciento, su nivel más bajo en 54 años.

- Circuit City, una de las mayores distribuidoras de productos electrónicos, se declaró en bancarrota y despedirá a 30.000 personas.

- La producción industrial cayó 1,8 por ciento en 2008. Es el peor resultado desde la recesión de 2001.

- El gobernador de California, Arnold Schwarzenegger, advirtió que el estado se encuentra “en emergencia financiera” por el multimillonario déficit presupuestario.

- ConocoPhillips, la tercera petrolera de Estados Unidos, despedirá a 1352 empleados afectada por la caída de los precios de las materias primas.

- Obligado a bajar costos por la crisis, el estudio de cine y televisión Warner anunció 800 despidos, equivalentes al 10 por ciento de su plantel.

- El gobierno aportó 20.000 millones de dólares al Bank of America para garantizar la continuidad de sus operaciones.

- El Citigroup tuvo que dividir la compañía en dos luego de registrar pérdidas por 8290 millones de dólares en el cuarto trimestre. Si el plan no funciona, no se descarta su estatización.

- Hertz, número uno mundial de alquiler de autos, anunció que suprimirá 4000 puestos de trabajo de aquí a marzo por la caída de la demanda.

- La crisis llegó a los gigantes tecnológicos: Microsoft informó el recorte de 5000 empleos, Intel cerrará dos de sus plantas y dejará en la calle a 6000 personas, AMD despedirá a 3000 trabajadores, Google prescindiría de 100.

- El gobierno aportó 1500 millones de dólares a la automotriz Chrysler, que se suman a 4000 millones concedidos previamente.

- El fabricante de motos HarleyDavidson anunció 1100 despidos, el 10 por ciento de su plantel.

Europa
- En 2009 España entrará en recesión después de 16 años. Se prevé una caída del PIB de 1,6 por ciento. El desempleo treparía a 15,8.

- Portugal proyecta una contracción económica de 0,8 puntos para este año.

- El gobierno de Irlanda tuvo que nacionalizar el Anglo Irish Bank.

- El Banco Central de Italia prevé una reducción del PIB de 2 por ciento durante 2009.

- El Banco Central Europeo (BCE) bajó la tasa de interés a un mínimo histórico de 2 por ciento.

- Volkswagen suspenderá a 60.000 trabajadores en febrero. BMW hará lo propio con 26.000, mientras que en España, Seat suspenderá a 5300.

- Alemania, la primera economía de Europa, sufrirá una contracción de su PIB de 2,25 por ciento en 2009.

- El productor de aluminio angloaustraliano Rio Tinto Alcan anunció 1100 despidos en todo el mundo.

- Metro, la mayor cadena alemana de supermercados y tiendas de electrónica, suprimirá 15.000 empleos este año, 5 por ciento de su plantel.

- El desempleo en Rusia aumentará en 2 millones de personas en 2009.

- El PIB de Inglaterra cayó 1,5 por ciento en el cuarto trimestre de 2008 y el país entró oficialmente en recesión. El desempleo llegó a 6,1 por ciento, su máximo en una década.

- British Telecom despedirá a 13.500 personas a lo largo del año.

- La compañía minera angloestadounidense BHP Billiton, la mayor del mundo, despedirá a 6000 empleados, 2000 de ellos en Chile.

- En Islandia se agudizan las protestas por la crisis y hubo represión.

- Finlandia prevé una caída del PIB de 2 por ciento en 2009.

Brasil
- La fabricante maquinas agrícolas John Deere despidió a 502 trabajadores.

- El banco Santander echará a 400 empleados, según denunció el sindicato.

- Lula da Silva anunció que se perdieron 600 mil empleos en diciembre de 2008, el doble de la caída habitual por razones estacionales.

- Más de 10 mil metalúrgicos protestaron por las calles de San Pablo.

- La gigante alimenticia Sadia anunció 350 despidos.

Asia y Oceanía
- El Banco de Japón prevé una recesión de 1,8 por ciento en el año fiscal 2008/2009, que cierra en marzo, y del 2 por ciento en 2009/2010. La crisis ya ocasionó la pérdida de 100 mil empleos industriales.

- Toyota despidió a 3100 personas, Sony a 16.000, Honda a 3100 y Sanyo está por echar a 1200 operarios.

- Más de medio millón de trabajadores chinos perdieron sus empleos en el último trimestre de 2008. La economía siguió dando señales de desaceleración: el PIB creció 6,8 por ciento en el último trimestre de 2008, cuando venía de registros de más de 11 por ciento.

- Corea del Sur entró en recesión en el último trimestre, al sufrir una caída del PIB del 5,6 por ciento. Samsung registró pérdidas por primera vez en su historia.

- Nueva Zelanda admitió que la economía no crecerá en 2009.

- Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Emiratos Arabes y Omán perdieron 2,5 billones de dólares a raíz de la caída de valor de sus inversiones en el extranjero.

Canadá
- El Banco de Canadá redujo las tasas de interés a su nivel más bajo en la historia, a 1 por ciento para los préstamos interbancarios.

- EL PIB caerá 1,2 por ciento este año, de acuerdo con la previsión oficial.

- Bell, la principal compañía telefónica del país, ofreció jubilaciones anticipadas a 1500 trabajadores.

Naciones Unidas
- La ONU advirtió que la actual crisis económico financiera provocaría la mayor recesión mundial desde la posguerra.

Y esto en sólo diez días.

Arrivano i cattivi!



30000 soldati nella città. La fase due della militarizzazione sociale
I ministri dell'Interno e della Difesa, Maroni e La Russa, confermano l'esistenza di un progetto per aumentare i militari da schierare a supporto delle forze dell'ordine.

Più soldati nelle città per garantire più sicurezza. I ministri dell'Interno e della Difesa, Maroni e La Russa, confermano l'esistenza di un progetto per aumentare a 30mila i militari da schierare nelle strade. Maroni sottolinea che "bisogna intervenire anche sulle situazioni di degrado ambientale".

Utilizzando la demagogia securitaria , in una società come quella italiana che mostra tutte le sue crepe sotto la spinta di una crisi capitalista che sta sferrando colpi di maglio a tutte le strutture sociali e a tutte le illusioni elargite sulla bontà della globalizzazione capitalista, il governo italiano accellera anticipando gli altri paesi nell’attuazione della fase due della militarizzazione delle aree metropolitane del nostro paese. A poche ore dal colpo di mano sulla revisione del modello contrattuale dei lavoratori dipendenti e l’abolizione da parte sindacale del conflitto padroni-lavoratori , l’era della caccia ai sabotatori della pace sociale è incominciata attraverso l’annuncio di manovre forti degne di un paese sotto assedio.

Nei paesi del Nord del mondo le misure antiterroristiche post 11 settembre, assorbite dall’opinione pubblica come necessarie per salvagurdare l’american way of life, hanno dato l’impulso all’applicazione della tecnologia securitaria in maniera diffusa, costruendo nell’immaginario collettivo il consenso alla presenza del Grande Buon Fratello. Accanto ad esso nella fase due la mano del Grande Fratello impugnerà il fucile antisommossa, lo spray al peperoncino ma se necessario i proiettili al fosforo bianco, Tutto sarà permesso contro terroristi, sobillatori e rivoltosi basterà inserirli sistematicamente nella Lista Nera ed escluderli dal genere umano includendoli in quello degli alieni mostruosi da sterminare

Non è una fantasia, basta ricordare le ultime dittature in Sudamerica.

25 gennaio 2009

Otra tilinguería argentina


Ponen el culo hacia donde calienta el sol

Sectores que aquí en Argentina trataron de obstaculizar los juicios por violaciones a los derechos humanos se mostraron, sin embargo, complacidos con la decisión de Barack Obama de prohibir la tortura y cerrar la cárcel de Guantánamo. Aplauden cuando Obama anuncia que abrirá la mano con sus adversarios y se rasgan las vestiduras porque la presidenta Cristina Fernández se reunió con Fidel y se convirtió de hecho en transmisora de un mensaje de distensión entre Cuba y Washington. Nuestros tilingos ni siquiera son coherentes.

El discurso de los medios, plano y simplificador y cada vez más abiertamente ideologizado desde el 2003, quedó en falsa escuadra con el cambio abrupto que se produjo en los Estados Unidos. Aceptaron y aplaudieron las políticas conservadoras y guerreristas de las administraciones norteamericanas anteriores y por inercia siguieron aplaudiendo las ideas, contrapuestas, del nuevo presidente Barack Obama. Es como aplaudir el progresismo del papa Juan XXIII y seguir aplaudiendo al actual papa Benedicto XVI. Claro que en este caso, los católicos deben obediencia al Papa, lo cual no debería ocurrir con los presidentes norteamericanos.

Los que justificaron la tortura y los secuestros porque aquí había “una guerra” y se vieron respaldados con la justificación de la tortura y los secuestros cometidos por la administración Bush en su guerra contra el terrorismo, deberían ser críticos con la decisión de Obama, como lo son aquí con los juicios por violaciones a los derechos humanos. Pero lo aplauden porque es el nuevo presidente de los Estados Unidos. Ninguno se atrevió a decir esta boca es mía. Y lo mismo se podría afirmar sobre las políticas económicas anunciadas por Obama que no siguen la letra dura de las recetas neoliberales. Se excitan tanto con todo lo que viene de EEUU que pierden el rumbo y no logran discernir su propia posición.

Cuando fue el juicio a empresarios venezolanos acusados por el valijero Antonini Wilson de ser agentes de Chávez, hubo políticos aquí que hablaron maravillas de la “independencia” de la Justicia en un país “serio” como Estados Unidos. En ese momento, el presidente Bush afrontaba tremenda crisis por la manipulación política de los fiscales, y los tribunales de Miami ya eran famosos por su caza de brujas, anticomunistas y “antipopulistas”. Pero si se apoya a Obama, necesariamente habría que ser crítico de Bush. Una cosa o la otra. Las dos son contrapuestas, a no ser que se piense que todo lo que venga de Estados Unidos siempre es bueno.

Obama fue elegido porque criticó todo lo que ellos respaldaron y asumieron como verdades consagradas, como ejemplo civilizador y democrático y ahora resulta que todo eso pertenece a un período nefasto.

Ahora Obama da otro paso: OBAMA LEVANTO EL VETO A LA FINANCIACION DE ORGANIZACIONES QUE PROMUEVEN EL ABORTO EN EL EXTRANJERO. ¿Qué dirá el Santo Padre, que vive en Roma? ¿Qué posición adoptarán los tilingos argentinos sobre esta medida? ¿Pedirán la excomunión de Obama y de todo su gabinete? ¿Pedirán atarle una piedra al cuello y tirarlo al mar?

El anuncio es una victoria de los grupos que defienden el derecho a decidir de las mujeres sobre su cuerpo, que esperan que éste sea el primer paso de Obama para revertir los ocho años de retrocesos que vivió Estados Unidos en materia de salud sexual y reproductiva de la mano del gobierno republicano, en los que se antepuso la ideología a la ciencia y a la salud de las mujeres.

El jueves, después de ordenar el cierre del centro de detención en Guantánamo, el levantamiento de las prisiones secretas que la CIA tiene en el exterior y la prohibición de la tortura, Obama se pronunció a favor del derecho a decidir de las mujeres sobre su cuerpo frente a un embarazo. Lo hizo a través de un comunicado en un nuevo aniversario del famoso fallo del caso Roe v. Wade, que estableció en 1973 que las leyes contra el aborto en Estados Unidos infringían el derecho a la privacidad. ¿Las tilingas cristianas chupacirios le gritarán "Yo te voy a matar a vos? ¿O estarán aplaudiendo, rápidas en los reflejos ante el cambio de vientos?

Es difícil saber lo que hará Obama en el futuro, especialmente en lo que atañe a las relaciones violentas e imperiales con Latinoamérica, pero todos sus planteos presuponen, por lo menos, un punto de partida mejor. A nosotros nos queda por delante una batalla cultural enorme: derrotar de una vez por todas el cipayismo imperante que arrastran estos representantes del medio pelo, incapaces de crear nada propio, pero sí capaces de regalar un país para ganar una sonrisa benevolente del emperador de turno.

23 gennaio 2009

Che cambi tutto per non cambiare nulla


I Gattopardi padroni della crisi
di Giorgio Cremaschi

Nel "Gattopardo" il nipote garibaldino così si rivolge allo zio, barone siciliano fedele ai Borboni, per convincerlo a schierarsi con i piemontesi: "Perché non cambi nulla bisogna che cambi davvero tutto". A questo fa pensare l'incontro di politici ed economisti europei, presenti tra gli altri Merkel, Blair, Tremonti, Sarkozy, dal quale è emersa una critica radicale al capitalismo finanziario e speculativo crollato nello scorso autunno. Cos'è il tutto che deve cambiare? La follia speculativa e il ruolo predominante della casta dei manager, il dominio della finanza sulla cosiddetta economia reale, del sistema bancario su quello delle imprese industriali. Cos'è però che deve restare? La sostanza della globalizzazione liberista, cioè la distruzione dello stato sociale ove c'era, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori, la concorrenza salariale al ribasso, la precarietà e la flessibilità spinte all'estremo. Non una parola finora, tra tante critiche e autocritiche dei governanti, è stata rivolta alle condizioni del lavoro.

La flessibilità è sempre la via maestra dello sviluppo e il salario resta sempre il nemico del sistema: guai a dire semplicemente "più salario". Anche quando si parla di una maggiore giustizia sociale, al massimo si pensa a un po' di esenzioni fiscali, e qualche elargizione per i disoccupati e i più poveri. La riduzione degli orari di lavoro, per contenere i licenziamenti, deve avvenire riducendo i salari e nessuno, ma proprio nessuno, pensa di mettere in discussione i contratti precari in quanto tali. Il rappresentante italiano nella Banca Europea, Bini Smaghi (successore di Padoa Schioppa, evidentemente il doppio cognome è indispensabile per accedere a quegli incarichi), ha proposto di finanziare le indennità per i disoccupati con l'aumento dell'età pensionabile. L'obiezione che sarebbe più sensato far andare prima in pensione e assumere così più disoccupati, invece che produrne ancora di più con l'allungamento del tempo di lavoro, è considerata ideologica.

E a proposito di pensioni, è ideologico dubitare che non sia più vera la favola dei fondi. Quella secondo la quale ciò che manca nella pensione pubblica, può essere sostituito dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci che avverrebbe con i fondi pensionistici privati.Ma se Borse e mercati crollano, come faranno i fondi a mantenere le loro promesse? Non lo faranno, ed infatti ai lavoratori della General Motors, in cambio dei possibili aiuti di stato, viene chiesto di rinunciare a gran parte della pensione aziendale, per ridurre il costo del lavoro.Qui sta il punto. Le critiche al capitalismo liberista si fermano sulla soglia dei rapporti di lavoro, dei salari, delle condizioni e della dignità concreta dei lavoratori. Ai quali anzi vengono richiesti nuovi sacrifici, questa volta non in nome di promesse di guadagni magici, ma secondo la più antica favola di Menenio Agrippa. E chi non ci sta, chi prova a collegare la sua condizione di sfruttamento con il capitalismo in crisi, è un nemico da stroncare ed allontanare e le lacrime di coccodrillo degli imprenditori coprono una prepotente crescita dell'autoritarismo aziendale. Si licenziano i precari dalla sera alla mattina. Si licenziano delegati, come alla Maserati, si impongono continui peggioramenti delle condizioni di lavoro, si distribuiscono provvedimenti disciplinari e minacce continue. Cresce in ogni luogo di lavoro la paura, che galleggia ancor di più nel brodo della dilagante cassa integrazione, che aggiunge dramma sociale al degrado. Le ragioni della dignità del lavoro sono calpestate e coloro che le sollevano sono considerati e trattati come nemici dell'azienda e dell'economia.

Alla fine avremo un capitalismo più regolato nei piani alti e ancor più feroce e ingiusto in quelli bassi.Qual è il ruolo assegnato al sindacato in tutto questo? In Italia ne abbiamo avuto un primo saggio nella vicenda Alitalia. Chi ha firmato, il sindacalismo confederale, non ha contato nulla, è stato messo all'angolo in un ruolo ridicolo e impotente. Chi non ha firmato è stato posto alla gogna riservata ai nemici della nazione. Del resto le parole sono sempre chiare. Oggi al sindacato non si chiede più soltanto collaborazione, ma complicità. Il maxiaccordo sul sistema contrattuale, rispetto al quale destra e sinistra, Confindustria e grandi giornali, premono per l'adesione della Cgil, dovrebbe sanzionare tutto questo. Si dovrebbe finalmente abbandonare le rigidità del contratto nazionale e accettare flessibilità e sfruttamento, azienda per azienda, territorio per territorio, nel nome della comune lotta per la produttività. I lavoratori perderebbero definitivamente il diritto a rivendicare aumenti salariali "a prescindere", come ha detto il segretario della Cisl, e potrebbero solo sperare di guadagnare di più lavorando di più. E il sindacato, complice di tutto questo, ne verrebbe premiato con l'accesso a fondi, Enti, ruoli economici, ai quali il capitalismo riformato promette di lasciare spazio.

Se vogliamo che qualcosa cambi davvero nel sistema economico e sociale, bisogna allora prima di tutto impedire, anzi rovesciare, la soluzione gattopardesca. Bisogna ripartire dai salari, dalle condizioni di lavoro, dagli orari, dalla salute e dai diritti. Bisogna costruire un nuovo antagonismo sindacale e sociale che rifiuti le compatibilità che servono a salvare la sostanza profonda del sistema che ci ha portato alla crisi. Solo dalla rottura di questo disegno possono partire un'altra politica economica e un diverso sviluppo fondato sulla giustizia e l'uguaglianza.

Contradizioni occidentali


In vigore dal 14 settembre in via ordinaria e senza richiesta al vescovo
RATZINGER LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO
Pubblicato il motu proprio «Summarum Pontificum» che ne permette l'uso secondo il rito anteriore alla riforma liturgica


Proposta in favore della sicurezza nazionale
ISLAM: FINI, CORANO SI PREDICHI IN ITALIANO
''La predicazione nelle moschee deve essere fatta in lingua italiana. E piu' in generale, il Corano deve essere predicato nella lingua della Regione in cui il musulmano vive. In Friuli si deve predicare in friulano, in Sardegna, in sardo, a Milano, in padano. Con questa proposta il presidente della Camera, Gianfranco Fini riapre il dibattito, gia' fonte di polemiche, sui luoghi di culto islamici In Italia.



In un convegno nella Città del Vaticano la testimonianzadel Segretario della Commissione Ecclesia Dei
"I vescovi ostacolano la messa in latino"La denuncia di monsignor Perl
Segnalati problemi analoghi anche all'estero, soprattutto in Germania
CITTA' DEL VATICANO - La messa in latino viene di fatto ostacolata dagli stessi vescovi. A denunciarlo in un convegno nella Città del Vaticano è il Segretario della Commissione Ecclesia Dei, monsignor Camille Perl: "In Italia la maggioranza dei vescovi, con poche ammirevoli eccezioni, ha posto ostacoli all'applicazione del motu proprio sulla messa in latino. Lo stesso bisogna dire di molti superiori generali che vietano ai loro sacerdoti di celebrare la messa secondo il rito antico".


Anche la Merkel è d'accordo: "Mi sembra una misura di grande democrazia applicata".
ANCHE LA GERMANIA VUOLE IL CORANO PREDICATO IN ITALIANO.
ANSA-La cancelliere Merkel si è mostrata d'accordo con la proposta del Presidente alla Camera italiana Fini di obbligare nelle moschee la predica del Corano in italiano. "Anche noi presenteremo una proposta che obblighi la predica in italiano all'interno di nostre moschee. Contribuisce alla comprensione dei popoli", ha detto entusiasta.

¿Ud. está bien informado?


Medios cómplices

Más allá de las formas democráticas, es evidente que el mundo está gobernado por las grandes corporaciones y no precisamente por las más inofensivas, sino por aquellas que se distinguen por su rapacidad y peligrosidad. De otro modo no podría explicarse la progresiva destrucción del planeta, las guerras, el hambre y la creciente desigualdad y violencia que caracterizan nuestra época. Tampoco se entendería que gobiernos formalmente democráticos terminen representando mucho más los intereses de esas corporaciones que los de los pueblos que los han elegido.

Las sumas billonarias de los megarescates a los bancos dispuestos recientemente por los gobiernos de los países centrales jamás habrían sido destinados a la salud, a la educación o al bienestar general de sus ciudadanos y mucho menos a rescatar del hambre y de la miseria a los millones de seres humanos que las sufren en todo el mundo, cualquiera sea su nacionalidad. Es notorio también que los pocos gobiernos que enfrentan el poder de esas corporaciones y que intentan defender los intereses de sus pueblos son agredidos y hostigados permanentemente, primero a través de la prensa y luego, si es necesario, por medidas de acción directa.

La pregunta obvia es, entonces, por qué los ciudadanos comunes no se rebelan contra el ilegítimo dominio del poder económico y no intentan subordinarlo de una vez por todas a sus representantes. Las respuestas a esta pregunta son múltiples y complejas, pero una de ellas se destaca con nítida claridad: los medios de comunicación más importantes, los que informan al mundo, propalan el discurso dominante y forman la famosa “opinión pública”, también están en manos de corporaciones, las que usufructúan una libertad de prensa que fue pensada originalmente para oponerse al poder, no para ser cómplice de él.

¿Pedimos demasiado?


Basta de ambiguedades: las cosas por su nombre

Por Robert Fisk *
Quizá hubiese sido útil que Obama hablara de lo que todo el mundo está hablando en Medio Oriente. Parece que faltó coraje. No, no se trata del retiro de las tropas de Irak, eso ya se sabe. Por supuesto que mencionó a “civiles masacrados”, pero esto no era precisamente lo que los árabes tenían en mente. Lo que había que hacer era llamar a las cosas por su nombre y, sin más, referirse al conflicto de Gaza.

Claro que, para ser honestos, llamó a Mahmud Abbas. Tal vez Obama piense que él es líder de los palestinos, pero como todo árabe sabe, a excepción quizás del Sr. Abbas, este hombre lo único que lidera es un gobierno fantasma, asimilable a un cuerpo que agoniza y que sólo se mantiene con vida gracias a las transfusiones de sangre que le brinda la “comunidad internacional”. Además, por supuesto, Obama hizo la llamada obligada a los israelíes.

Pero para los pueblos de Medio Oriente, si hubo algo que ensombreció el discurso inaugural del nuevo presidente norteamericano fue justamente la ausencia en su discurso de las palabras “Gaza” e “Israel”. ¿Acaso no le importó? ¿Tuvo miedo? ¿Es que el muchacho que le escribe los discursos a Obama no se dio cuenta de que el hecho de hacer hablar a su jefe de por qué a los negros no les servían un plato de comida en ciertos restaurantes hace 60 años en Estados Unidos iba a hacer pensar a los árabes en un pueblo actualmente discriminado y masacrado sólo por votar a la “gente equivocada”? Demasiados cuerpos muertos yacen en Gaza como para que la cuestión no haya estado presente en ese discurso. Imposible no verlos.

Por eso, por más distancia que el nuevo presidente haya tratado de poner en su discurso con el régimen corrupto al cual reemplazó, demasiados ecos sonaron en el ambiente, como si los atentados del 11 de septiembre hubiesen ocurrido ayer. En consecuencia, tuvimos que recordar, por ejemplo, cómo “heroicos bomberos lucharon contra las cortinas de humo que bajaban por las escaleras”.

Si bien es cierto que para los árabes frases del tipo “nuestra nación está en guerra con una red de violencia y odio de alcance mundial” remite puramente a Bush, el hecho de que Obama haya hecho referencia al “terror”, esa palabra tan usada por Bush y los israelíes, fue un signo preocupante de que todavía no captó el mensaje. De ahí que, por ejemplo, lo hayamos visto hablando de cómo, a pesar de la fuerza de los talibán y las masacres que cometen, “no nos vencerán”. ¿Les suena? En cuanto a sus menciones de “aquellos corruptos que pretenden acallar la disidencia”, frase que supuestamente aludía a Irán, lo cierto es que en el imaginario árabe esas características seguramente remitan a líderes como Hosni Mubarak en Egipto (quien por cierto también recibió una llamada de Obama), el rey Abdallah de Arabia Saudita y toda esa clase de autócratas que se la pasan cortando cabezas pero que son, claro, los aliados de Estados Unidos en la región.

Hanan Ashrawi lo entendió bien. Los cambios que hacen falta en Medio Oriente, es decir, justicia para los palestinos, seguridad para éstos y para los israelíes, el fin de la construcción de los asentamientos para judíos en Cisjordania, el fin de toda violencia, tienen que ser inmediatos. Y, si acaso el tibio nombramiento de George Mitchell como enviado para la región estaba destinado a satisfacer estas demandas, por ahora no alcanza. Ni de cerca.

El mensaje amigable destinado a los musulmanes que evocó la necesidad de encontrar un nuevo enfoque para relacionarse basado en los intereses y el respeto mutuos, simplemente no ilustra ni remite bajo ningún concepto a las imágenes del baño de sangre que tuvo lugar en Gaza durante las últimas semanas. Sí, los países árabes y muchos otros alrededor del mundo pueden regocijarse de que la era Bush haya terminado y Guantánamo se vaya a cerrar. Pero, ¿serán juzgados los torturadores de Bush y de Rumsfeld? ¿O serán discretamente cambiados de lugar de trabajo hacia alguno donde no tengan que calzarse el instrumental de tortura y escuchar a la gente gritar de dolor?

Bueno, después de todo, hay que darle una oportunidad a la nueva administración. Quizá Mitchell hable con Hamas, él es nuevo y puede hacerlo, ¿pero qué tendrán para decir los ya probados fracasos como Denis Ross, Rahm Emmanuel, Robert Gates o Hillary Clinton? Todo el mundo notó la ausencia de esas dos palabras, Palestina e Israel. Parece que eran dos papas demasiado calientes para agarrar en un día tan helado en Washington, en el que Obama ni siquiera estaba usando guantes.

¿Un maestro jedi o un santo de estampita?


Los comentarios y noticias que nos llegan desde EEUU sobre las primeras medidas que tomó Obama hacen presagiar algo bueno. Pero también es importante destacar que en comparación a Bush, cualquiera se transforma en un santo. Así que cuidado con las manifestaciones de alabanzas, dejemos pasar el tiempo y veamos. Latinoamérica no puede olvidar las invasiones del territorio mexicano, Guatemala, República Dominicana, Grenada, Panamá, Bahia de Cochinos, la conjura para defenestrar a Allende, la aprobación del Plan Cóndor...y todas las injerencias que ha tenido y tiene en nuestras tierras. Veamos, no nos apresuremos a premiar a alguien que todavía no se demostró que es un campeón de las libertades.


EL CIERRE DE LA CARCEL DE GUANTANAMO SIMBOLIZA EL FIN DE UNA ERA NEFASTA
El fracaso de la ilegalidad
› Por Robert Verkaik
Sus muros se convirtieron en el mayor símbolo de las injusticias cometidas por Estados Unidos en su guerra contra el terror. Pero nada apartó al presidente Bush en su determinación de pasar por encima del derecho internacional.



PERSISTE LA PREOCUPACION POR LA SUERTE DE LOS DETENIDOS
Optimismo entre los defensores de DD.HH.
Por Mercedes López San Miguel

SUSPENDIO LOS JUICIOS DE VENTIUN DETENIDOS, PRIMER PASO PARA CLAUSURAR EL PENAL
Obama avanzó con el cierre de Guantánamo
Por Ernesto Semán
En su primera medida como presidente de los Estados Unidos, Obama dio un paso drástico en dirección opuesta a la de la administración Bush y en favor de poner a Estados Unidos en un status jurídico de igualdad con el resto del mundo.

21 gennaio 2009

En la cancha se ven los pingos


Gatopardismo imperial

Finalmente llegó el gran día. Toda la prensa mundial no hace sino hablar de la nueva era abierta con el acceso de Barack Obama a la Casa Blanca. Esto confirma los pesimistas pronósticos acerca del retrógrado papel que cumplen los medios del establishment al profundizar, con las ilusiones y los engaños de su propaganda, la indefensión de la “sociedad del espectáculo”, una forma involucionada de lo social donde el nivel intelectual de grandes segmentos de la población es rebajado sistemáticamente mediante su cuidadosa des-educación y desinformación. La agobiante “obamamanía” actual es un magnífico ejemplo de ello.

Indudablemente, que un afro-americano esté sentado ahora en el sillón presidencial de los EEUU, es un hecho eclatante, casi una revolución si pensamos que apenas 50 años atrás todavía regía en aquel país una suerte de tácito apartheid. Pero la realidad es que Obama llegó a la presidencia diciendo que representaba el cambio y los indicios que surgen de la conformación de su equipo y de sus diversas declaraciones revelan que si hay algo que va a primar en su administración será la continuidad y no la transformación de las relaciones entre EEUU y el mundo. Habrá algunos, sin duda, pero serán marginales, en algunos casos cosméticos y nunca de fondo. El problema es que la sociedad norteamericana, especialmente en el contexto de la formidable crisis económica en que se debate, necesita cambios de fondo, y éstos requieren algo más que simpatía o elocuencia discursiva. Hay que luchar contra adversarios ricos y poderosos, y nada indica que Obama esté siquiera remotamente dispuesto a considerar tal eventualidad. Recordemos que el verdadero poder no lo tiene él. Veamos algunos ejemplos.

¿Cambio, designando como jefe de su Consejo de Asesores Económicos a Lawrence Summers, ex secretario del Tesoro de Bill Clinton y artífice de la inaudita desregulación financiera de los noventa causante de la crisis actual? ¿Cambio, ratificando al secretario de Defensa designado por George W. Bush, Robert Gates, para conducir la “guerra contra el terrorismo” por ahora escenificada en Irak y Afganistán? ¿Cambio, con personajes como el propio Gates, o Hillary Clinton, que apoyaron sin ambages la reactivación de la Cuarta Flota destinada a disuadir a los pueblos latinoamericanos y caribeños de antagonizar los intereses y los deseos del imperio? En su audiencia ante el Senado, Clinton dijo que la nueva administración de Obama debería tener “una agenda positiva” para la región para contrarrestar “el temor propagado por Chávez y Evo Morales”. Seguramente se referiría al temor a superar el analfabetismo o a terminar con la falta total de atención médica, o al temor que generan las continuas consultas electorales de gobiernos como el de Venezuela o Bolivia, mucho más democráticos que el de Estados Unidos en donde todavía existe una institución tan tramposa como el colegio electoral, que hace posible, como ocurriera en el 2000, que George W. Bush derrotara en ese antidemocrático ámbito al candidato que había obtenido la mayoría del voto popular, Al Gore. ¿Puede esta Secretaria de Estado representar algún cambio?

¿Cambio, producido por un líder político que quedó encerrado en un estruendoso mutismo ante el brutal genocidio perpetrado en Gaza? ¿Qué autoridad moral tiene para cambiar algo quien actuó de ese modo? ¿Cómo suponer que representa un cambio una persona que dice, como lamentablemente lo hizo Obama hace apenas un par de días a la cadena televisiva Univisión, que “Chávez ha sido una fuerza que ha impedido el progreso de la región, (...) Venezuela está exportando actividades terroristas y respalda a entidades como las FARC”? Tamaño exabrupto y semejantes mentiras no pueden alimentar la más mínima esperanza y confirma las prevenciones que suscita el hecho de que uno de sus principales consejeros sobre América latina sea el abogado Greg Craig, asesor de la inefable Madeleine Albright, ex secretaria de Estado de Bill Clinton, la misma que dijera que las sanciones en contra de Irak luego de la Primera Guerra del Golfo (que costaron entre medio millón y un millón y medio de vidas, predominantemente de niños) “valieron la pena”. Craig, además, tiene como uno de sus clientes a Gonzalo Sánchez de Lozada, cuya extradición a Bolivia está siendo solicitada por el gobierno de Evo Morales para juzgarlo por la salvaje represión de las grandes insurrecciones populares del 2003 que dejaron un saldo de 65 muertos y centenares de heridos. Sus credenciales son, por lo visto, inmejorables para producir el tan deseado cambio.

En esa misma entrevista, Obama se manifestó dispuesto a “suavizar las restricciones a los viajes y al envío de remesas a Cuba”, pero aclaró que no contempla poner fin al embargo decretado en contra de Cuba en 1962. Agregó además que podría sentarse a dialogar con el presidente Raúl Castro siempre y cuando “La Habana se muestre dispuesta a desarrollar las libertades personales en la isla”. En fin, la misma cantinela reaccionaria de siempre. Un caso de gatopardismo de pura cepa: algo tiene que cambiar, en este caso el color de la piel, para que nada cambie en el imperio. En fin, aunque yo no crea mucho, veremos qué sucederá en los próximos meses: en la cancha se ven los pingos.

20 gennaio 2009

Omaggio a Miguel, "desaparecido" per correre


In 6 mila a Roma per Miguel: di corsa per la pace

Correre aiuta a pensare, a riflettere. Da dieci anni a Roma si corre in ricordo di un ragazzo di 25 anni che un bel giorno non lo ha più potuto fare. Si chiamava Miguel Venancio Sànchez. Era argentino ed è uno delle migliaia di suoi compatrioti fatti scomparire dalla dittatura militare.

Miguel amava la corsa, le aveva dedicato anche una poesia (“A te atleta”) pubblicata dalla Gazeta Esportiva di San Paolo il 31 dicembre del 1977, nove giorni prima della scomparsa che allungò la lista infinita dei desaparecidos. Diceva così: «Per te atleta che disprezzi la guerra e sogni la pace..». Niente di più attuale.

Grazie a Valerio Piccioni, giornalista della Gazzetta e appassionato podista, questa storia è diventata una corsa con tutti i crismi. La prima edizione si è corsa il 9 gennaio del 2000 e anno dopo anno sono aumentati partecipanti fino ai 6 mila di ieri. Attorno alla Corsa di Miguel sono poi nate tutta una serie di iniziative, tutte mettono a braccetto lo sport e l’impegno sociale. Per prima è arrivata la versione argentina della corsa, la Carrera de Miguel. Debuttò l'11 marzo 2001, in occasione del anniversario del Colpo di Stato in Argentina. Si corre a Buenos Aires nel parco di Palermo.

Dal 12 settembre di quest’anno c’è una Corsa di Miguel in India, precisamente sull’Himalaya indiano, nel massiccio del Miyar. Tre alpinisti italiani hanno scalato per la prima volta la cima a quota 5486 metri, aprendo un via e chiamandola appunto “La Corsa di Miguel”. L’idea di chiamare la via, 2200 metri di percorso, La Corsa di Miguel, è nata dal desiderio di ricordare Emiliano Simonelli, un podista, scomparso pochi mesi prima. Il testimone di Miguel passa per tante mani e sempre per una buona causa. Per tramandare ai posteri sono coinvolti anche i bambini. Ben ottantacinque scuole laziali faranno correre i loro ragazzi per “I mille di Miguel” dopo aver concluso un progetto di incontro con i campioni olimpici di Pechino. Insomma, Miguel è un nome che rappresenta il meglio dello sport.

19 gennaio 2009

Alitalia decolla


Fine dello psicodramma Alitalia

Pubblicato martedì 13 gennaio 2009 in
Francia
[Le Monde]
La nuova Alitalia potrà decollare. È una vittoria per il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi.L’accordo alleggerirà finalmente lo stato dal peso di una compagnia in rovina che continuava a inghiottire soldi.

Anche per Roberto Colannino, che ha amministrato la vecchia Telecom Italia, questo accordo è una vincita al lotto. Ha guidato il consorzio di investitori italiani che ha comprato la “parte migliore” di Alitalia nel dicembre 2008 per 1,05 miliardi di euro. Un mese più tardi, in un momento in cui il mercato dei trasporti aerei va male, questi investitori si apprestano a rivendere una parte delle loro quote ad Air France-KLM intascando un plusvalore del 30%.

Il vettore franco-olandese, tuttavia, non fa un cattivo affare. Può così posizionarsi sul quarto mercato aereo europeo.Nella primavera 2008, quando la compagnia è stata vicina a concludere l’acquisto di Alitalia, prima di vedere la sua offerta colare a picco a causa dei sindacati e della campagna elettorale populista di Berlusconi, il matrimonio non sarebbe stato così bello. Alitalia avrebbe allora avuto in “dote” un debito di 1,2 miliardi di euro ed una serie di entità che non avrebbero probabilmente interessato Air France-KLM.
Con Berlusconi al potere, il perimetro di Alitalia è stato ridefinito e questi elementi indesiderabili sono stati riallocati in una “compagnia-spazzatura” finanziata dal Tesoro italiano.

Il contribuente italiano - e il consumatore - ha fatto le spese di quello che era diventato uno psicodramma politico. Ha pagato i quasi due miliardi di euro di costi supplementari registrati dal momento in cui i sindacati, incoraggiati da Berlusconi, hanno posto il loro veto sull’ultima offerta di Air France-KLM.

La fusione di Alitalia e Air One avrà inoltre l’effetto di rendere il mercato meno concorrenziale. Ora, costa di più prendere un volo Alitalia per andare da Roma a Milano che una linea low-cost per andare da Roma a Londra. Si dice che i popoli hanno i dirigenti che si meritano. Allo stesso modo, si può dire dell’Italia che ha la compagnia aerea che si merita.

18 gennaio 2009

Operación Plomo Impune


Gaza
Por Eduardo Galeano
Para justificarse, el terrorismo de Estado fabrica terroristas: siembra odio y cosecha coartadas. Todo indica que esta carnicería de Gaza, que según sus autores quiere acabar con los terroristas, logrará multiplicarlos.
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Desde 1948, los palestinos viven condenados a humillación perpetua. No pueden ni respirar sin permiso. Han perdido su patria, sus tierras, su agua, su libertad, su todo. Ni siquiera tienen derecho a elegir sus gobernantes. Cuando votan a quien no deben votar, son castigados. Gaza está siendo castigada. Se convirtió en una ratonera sin salida, desde que Hamas ganó limpiamente las elecciones en el año 2006. Algo parecido había ocurrido en 1932, cuando el Partido Comunista triunfó en las elecciones de El Salvador. Bañados en sangre, los salvadoreños expiaron su mala conducta y desde entonces vivieron sometidos a dictaduras militares. La democracia es un lujo que no todos merecen.
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Son hijos de la impotencia los cohetes caseros que los militantes de Hamas, acorralados en Gaza, disparan con chambona puntería sobre las tierras que habían sido palestinas y que la ocupación israelita usurpó. Y la desesperación, a la orilla de la locura suicida, es la madre de las bravatas que niegan el derecho a la existencia de Israel, gritos sin ninguna eficacia, mientras la muy eficaz guerra de exterminio está negando, desde hace años, el derecho a la existencia de Palestina.
Ya poca Palestina queda. Paso a paso, Israel la está borrando del mapa.
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Los colonos invaden, y tras ellos los soldados van corrigiendo la frontera. Las balas sacralizan el despojo, en legítima defensa.
No hay guerra agresiva que no diga ser guerra defensiva. Hitler invadió Polonia para evitar que Polonia invadiera Alemania. Bush invadió Irak para evitar que Irak invadiera el mundo. En cada una de sus guerras defensivas, Israel se ha tragado otro pedazo de Palestina, y los almuerzos siguen. La devoración se justifica por los títulos de propiedad que la Biblia otorgó, por los dos mil años de persecución que el pueblo judío sufrió, y por el pánico que generan los palestinos al acecho.
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Israel es el país que jamás cumple las recomendaciones ni las resoluciones de las Naciones Unidas, el que nunca acata las sentencias de los tribunales internacionales, el que se burla de las leyes internacionales, y es también el único país que ha legalizado la tortura de prisioneros.
¿Quién le regaló el derecho de negar todos los derechos? ¿De dónde viene la impunidad con que Israel está ejecutando la matanza de Gaza? El gobierno español no hubiera podido bombardear impunemente al País Vasco para acabar con ETA, ni el gobierno británico hubiera podido arrasar Irlanda para liquidar a IRA. ¿Acaso la tragedia del Holocausto implica una póliza de eterna impunidad? ¿O esa luz verde proviene de la potencia mandamás que tiene en Israel al más incondicional de sus vasallos?
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El ejército israelí, el más moderno y sofisticado del mundo, sabe a quién mata. No mata por error. Mata por horror. Las víctimas civiles se llaman daños colaterales, según el diccionario de otras guerras imperiales. En Gaza, de cada diez daños colaterales, tres son niños. Y suman miles los mutilados, víctimas de la tecnología del descuartizamiento humano, que la industria militar está ensayando exitosamente en esta operación de limpieza étnica.
Y como siempre, siempre lo mismo: en Gaza, cien a uno. Por cada cien palestinos muertos, un israelí.
Gente peligrosa, advierte el otro bombardeo, a cargo de los medios masivos de manipulación, que nos invitan a creer que una vida israelí vale tanto como cien vidas palestinas. Y esos medios también nos invitan a creer que son humanitarias las doscientas bombas atómicas de Israel, y que una potencia nuclear llamada Irán fue la que aniquiló Hiroshima y Nagasaki.
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La llamada comunidad internacional, ¿existe?
¿Es algo más que un club de mercaderes, banqueros y guerreros? ¿Es algo más que el nombre artístico que los Estados Unidos se ponen cuando hacen teatro?
Ante la tragedia de Gaza, la hipocresía mundial se luce una vez más. Como siempre, la indiferencia, los discursos vacíos, las declaraciones huecas, las declamaciones altisonantes, las posturas ambiguas, rinden tributo a la sagrada impunidad.
Ante la tragedia de Gaza, los países árabes se lavan las manos. Como siempre. Y como siempre, los países europeos se frotan las manos.
La vieja Europa, tan capaz de belleza y de perversidad, derrama alguna que otra lágrima mientras secretamente celebra esta jugada maestra. Porque la cacería de judíos fue siempre una costumbre europea, pero desde hace medio siglo esa deuda histórica está siendo cobrada a los palestinos, que también son semitas y que nunca fueron, ni son, antisemitas. Ellos están pagando, en sangre contante y sonante, una cuenta ajena.
(Este artículo está dedicado a mis amigos judíos asesinados por las dictaduras latinoamericanas que Israel asesoró.)

Zapatos para un represor


Ya iremos pasando todos

Por Horacio Verbitsky
El miércoles, Pío Laghi tuvo su funeral solemne en el Duomo de Faenza, la catedral que en 1502 capturó la atención de Leonardo, como documenta su cuaderno de viaje. Allí fue ordenado sacerdote en 1946 y allí fueron depositados sus restos. Elda Casadio también nació en Faenza y emigró a la Argentina. En 1946, cuando su hijo Estanislao Kowal fue secuestrado, recurrió a su paisano, quien le preguntó:
—¿Su hijo no sería comunista?

Ya Madre de Plaza de Mayo, Elda Casadio volvió a acercarse a Laghi luego de una ceremonia religiosa en Faenza.

—Yo ayudé a muchos italianos —se jactó el nuncio.

—Puede ser. Pero por mi hijito no hizo nada.

—No puedo hacer nada, tengo las manos atadas —le dijo Laghi.

Un par de zapatos femeninos amanecieron pegados el miércoles sobre la escalinata del Duomo, y en la vidriera de la vecina librería Moby Dick un cartel rindió homenaje a Estanislao Kowal y los 30.000 desaparecidos en la Argentina.

16 gennaio 2009

Gaza = Guernica


Testimonianze da Gaza


Stavamo dormendo e sono arrivate le bombe. Sono riuscita a proteggere i miei figli ma qui i bambini sono terrorizzati. Ci sono i morti e distruzione. Abbiamo anche paura di scappare. Gente del mondo, dove siete? Testimonianze da Gaza raccolte dall'Unicef

Manuel Musallam - "È stata una notte terribile, nel vero senso della parola. Dalle 21 di ieri sera alle 4 del mattino di oggi le forze israeliane hanno proceduto a un bombardamento continuo e costante. Le esplosioni erano così tante e così forti, che abbiamo passato la notte svegli. Gli aerei israeliani hanno distrutto ogni cosa che si muoveva. Hanno colpito case e tutti gli edifici più alti, incluse alcune torri qui vicino a casa nostra. Vi assicuro che il rumore era insopportabile"

Husam Hamdouna (direttore del Remedial Education Center di Jabaliya, Gaza) - "La situazione è terribile in queste ore, abbiamo da poco saputo che le vittime finora sono oltre trecentotrenta. I bombardamenti si susseguono con brevi soste tra l'uno e l'altro da sabato, quando c'è stato l'attacco a sorpresa in contemporanea. Le esplosioni sono continuate anche nella notte e stamattina. Non le ho viste con i miei occhi, ma mi informano che molte delle vittime sono civili, soprattutto nella zona di Jabaliya, a nord di Gaza città. Ma i bombardamenti sono distribuiti lungo tutto il territorio della Striscia".

Mustafa Barghouti - E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

Robert Fisk - Siamo talmente assuefatti alle carneficine del Medio Oriente che non ci preoccupiamo più – in modo da non offendere gli israeliani. Non è chiaro quanti dei morti di Gaza siano civili, ma la risposta dell’amministrazione Bush, per non far menzione della reazione pusillanime di Gordon Brown, riafferma per gli arabi quello che conoscono da decennni: in qualunque modo essi combattano contro i loro avversari, l’Occidente si schiererà dalla parte di Israele. Come al solito, il bagno di sangue è stato colpa degli arabi – che, come ben sappiamo tutti, capiscono solo le maniere forti.

Minacce di notte che di giorni si tramutano in orrende realtà. Una bomba è caduta nel giardino di Fida, nostra coordinatrice Ism,c'è mancato un pelo.Ma è da parecchie ore che le bombe hanno iniziato a cadere a casaccio,avendo demolito ormai solo nella giornata di ieri tutti i siti che Israele giudicava "sensibili". Nessuno sa quando questo nuovo olocausto vedrà termine,nessuno osa immaginarlo. Scrivo con una connessione traballante dinnanzi all'ospedale di Shifa. Due ore fa, proprio di fianco all'ospedale, hanno tirato giù una moschea.Solo mezz'ora fa, duecentometri più avanti, una ha bombardato il parlamento e il carcere. Decine i detenuti sotto le macerie.Non so che succede fuori da questo inferno, ma mi auguro fortemente che le masse si mobilitino, così come ad Atene hanno fatto per la morte di un ragazzino ucciso da un fascista travestito da poliziotto.

“Nella striscia di Gaza è facile morire sotto un bombardamento israeliano ma lo è ancor di più prendendosi una polmonite. E’ quanto stava per succedere a me dopo che, come tutti i miei familiari, ormai da otto notti dormivamo con le finestre aperte e temperature esterne vicine allo zero. Siamo costretti a tenere le finestre aperte perché, in caso di bombardamento, l’onda d’urto delle esplosioni manderebbe in frantumi i vetri, ferendoci tutti”.

Per fortuna un amico s’è offerto di accompagnarmi in ospedale. Arrivato lì ho trovato una situazione terribile: tutti i letti, compresi i pochissimi ancora liberi, avevano le lenzuola insanguinate. Un medico mi ha spiegato che non c’è tempo per lavarle perché come un paziente va via - vivo o morto - il suo posto viene occupato da un altro. E qualora il tempo ci fosse, non ci sono l’elettricità nè l’acqua necessarie alla lavanderia

“Ma la situazione non è certo migliore nell’unico ospedale pediatrico di Gaza, il ‘Naser’ (Vittoria): una bomba israeliana caduta lì vicino ha distrutto i vetri di tutte le finestre del reparto maternità e della camerata dove nelle incubatrici c’erano 30 neonati prematuri. Sono stati tutti evacuati, insieme con le madri, nei locali del pronto soccorso, che non sono i più adatti alle loro precarie condizioni. Nel reparto oncologia dello stesso ospedale, inoltre, per mancanza di farmaci specifici per la cura della leucemia e di altri tipi di tumori, sono stati sospesi i trattamenti dei pazienti, che per il momento possono essere sottoposti soltanto ad analisi cliniche”.
Il tempo stringe per Israele, che vuole raggiungere il maggior numero di obiettivi militari prima di concordare un cessate il fuoco. Ancora una volta però, gli obiettivi di giornata sono strutture civili: l quartier generale dell'Unrwa a Gaza, un ospedale della Mezzaluna Rossa e la Torre di Ash Shuruq, un edificio di Gaza dove hanno sede diversi media.

Il portavoce dell'Unrwa, Chris Gunness, raggiunto da PeaceReporter a Gerusalemme, ha confermato che l'edificio della sede Onu a Gaza per i rifugiati (UNRWA) è stato colpito. “Tre bombe al fosforo bianco hanno raggiunto l'edificio - ha detto il portavoce Unrwa - e il deposito è andato in fiamme. Tre persone sono rimaste ferite fra il personale. Ancora una volta il lavoro del personale umanitario è sotto tiro”. “Le fiamme continuano ad alimentarsi perché non si può estinguere il fuoco generato dal fosforo bianco con normali estintori. Ci vuole la sabbia e non ce l'abbiamo” ha proseguito il portavoce, "le autorità israeliane hanno espresso il loro rincrescimento, ma questo non è abbastanza. La situazione è particolarmente grave perché non abbiamo nessun posto dove poterci rifugiare, né possiamo evacuare l'edificio".

Quando votano chi non devono, vengono castigati. Gaza viene castigata. Si è trasformata in una… i militanti di Hamas, rinchiusi a Gaza, sparano con mira pasticciona sopra le… fanno teatro? Davanti alla tragedia di Gaza l'ipocrisia mondiale brilla una volta…

Continua l'offensiva israliana nella striscia di Gaza. Almeno nove palestinesi sono stati uccisi durante i raid della scorsa notte. Fra questi, riferiscono fonti palestinesi, vi sono sei membri della famiglia di un attivista del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina: la moglie, la cognata e quattro bambini.

L'Alto commissario dell'Onu per i diritti dell'uomo, Navi Pillay, ha denunciato oggi «gravi violazioni dei diritti umani» nella Striscia di Gaza ed ha sollecitato l'apertura di un'inchiesta indipendente sulle violenze compiute dall'inizio dell'offensiva israeliana. In una sessione speciale del Consiglio per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite organizzato a Ginevra, Pillay ha detto che il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele è «inaccettabile», così come è «insostenibile» la risposta dell'esercito israeliano per le sofferenze che infligge alla popolazione civile. «L'impossibilità di accedere ai servizi di base e la distruzione delle infrastrutture espongono la popolazione di Gaza a rischi addizionali. Tali condizioni rappresentano gravissime violazioni dei diritti umani», ha detto Pillay. «Inchieste indipendenti e trasparenti dovranno essere condotte per accertare le violazioni commesse e stabilire le responsabilità», ha concluso l'Alto commissario.