15 ottobre 2008

Aiutare la gente, non le banche



Allarme povertà: «Si pensa ad aiutare le banche, non la gente»
Sempre più poveri. E sempre più numerosi. In Italia le misure contro la povertà sono le meno efficaci in Europa e se in alcuni paesi (come Svezia, Danimarca, Olanda, Germania, Irlanda), l'impatto della spesa per la protezione sociale riesce a ridurre del 50 per cento il rischio povertà, da noi si raggiunge un magro 4 per cento.

Un record che l'Italia, nell'Europa dei 15, detiene insieme alla Grecia. Lo sostiene l'ottavo Rapporto sulla povertà della Caritas Italiana-Fondazione Zancan - presentato mercoledì - che lancia l'allarme: «Nell'Europa dei quindici, l'Italia presenta una delle più alte percentuali di popolazione a rischio povertà». Il rapporto ricorda i dati Istat: il 13% degli italiani è povero, vive con meno di 500-600 euro al mese. Sono povere le famiglie con anziani (soprattutto se autosufficienti) ed è povero un terzo delle famiglie con tre o più figli; il 48,9% di queste vive al sud.

Avere più figli aumento il rischio di povertà. Eppure non è così altrove. Ad esempio, in Norvegia con più figli il tasso di povertà si abbassa. Il nostro paese è al di sotto della spesa media per la protezione sociale. In realtà, la spesa aumenta ma per via della previdenza. Nel 2007, il pubblico ha erogato prestazioni a fini sociali pari a 366.878 mln euro, di cui il 66,3% per pensioni (+5,2% rispetto al 2006). Squilibrio più evidente se si considera l'incidenza sul Pil: la spesa per la previdenza incide per il 15,8% (15,6%), quella per la sanità per il 6,2% (6,4%), per l'assistenza sociale per l'1,9% (1,9%). Il rapporto suggerisce di riorientare e riqualificare le risorse.

Secondo il rapporto il problema è la qualità della spesa sociale e non solo il livello percentuale sul Pil. Il nostro Paese è al di sotto della spesa media per la protezione sociale. In realtà, la spesa aumenta ma per via della previdenza. Nel 2007, il pubblico ha erogato prestazioni a fini sociali pari a 366.878 mln euro, di cui il 66,3 per cento per pensioni (+5,2 per cento rispetto al 2006). Squilibrio più evidente se si considera l'incidenza sul Pil: la spesa per la previdenza incide per il 15,8 per cento (15,6 per cento), quella per la sanità per il 6,2 per cento (6,4 per cento), per l'assistenza sociale per l'1,9 per cento (1,9 per cento).
Da qui l'invito ad aiutare le persone in difficoltà più che le grandi banche: «Assistiamo in questi giorni a montagne di soldi pubblici che, con il giusto accordo di tutti, corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un salvataggio. Perchè non fare altrettanto per soccorrere chi lotta quotidianamente per sopravvivere all'indigenza e alla precarietà?». Ha chiesto monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana: «Perchè - si è chiesto il sacerdote - non tentare una seria alleanza tra politica, società, terzo settore e associazioni di volontariato?».

«In paesi come Svezia, Danimarca, Olanda, Germania e Irlanda, l'impatto della spesa per la protezione sociale riesce a ridurre del 50 per cento il rischio povertà, da noi si raggiunge un magro 4 per cento», ha denunciato Nozza, rilevando che «nell'Europa dei 15, l'Italia presenta una delle più alte percentuali di popolazione a rischio povertà».

«Questi dati rivelano che è un problema che riguarda anche le classi medie che stanno precipitando verso la soglia di povertà. Il dramma è che nelle mense della Caritas ci va chi prima faceva il tecnico e l'operaio...questa è l'Italia reale, non quella del Bagaglino ed è urgente che il governo intervenga».

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