Bankitalia: per garantire Pil allungare l'età pensionabile
Lavorare di più, più a lungo, anche da vecchi. Fare, fare, produrre. Per il benessere raggiunto, per il prodotto interno lordo del paese. Non desiderare la pensione, il tempo libero, un certo riposo. No. «Il mantenimento e l'espansione del livello di vita raggiunto nel nostro paese non può non richiedere che si lavori di più, in più e più a lungo». Così il vice direttore di Bankitalia, Ignazio Visco, conclude il suo intervento nel corso della 49ma riunione scientifica della Società degli Economisti italiani in corso a Perugia. E presenta la possibile soluzione ai problemi di di invecchiamento della popolazione, immigrazione e crescita, l'esponente del direttorio sottolinea come sia «necessario che si innalzi l'intensità del capitale umano» per il quale «esistono ampi margini di miglioramento», e che «riprenda a crescere la produttività totale dei fattori».
Poi dalle pensioni si passa alla questione liberalizzazioni: la crescita dell'economia italiana è frenata da un eccesso senza paragoni di barriere anti-concorrenza ed è quindi necessaria, per evitare il declino economico del Paese, una nuova iniezione di liberalizzazioni, sostiene Visco, secondo cui, «nonostante i positivi effetti dei recenti processi di liberalizzazione, che ci hanno avvicinato agli assetti di mercato prevalenti nei principali paesi sviluppati, esistono margini per un ulteriore miglioramento».
«Secondo gli indicatori sintetici dell'Ocse - ha spiegato Visco in una lezione alla riunione della Società italiana degli economisti a Perugia - che tengono conto dei livelli di barriere all'entrata, delle restrizioni al commercio estero e del ruolo del settore pubblico nell'economia, alla fine del decennio scorso l'Italia era uno dei paesi sviluppati con il più alto livello di regolamentazione in senso anti-competitivo del mercato dei prodotti.
In rilevanti comparti del terziario (servizi energetici, di trasporto, di comunicazione e professionali) il livello di regolamentazione risultava il più elevato in assoluto». «L'evidenza empirica disponibile - ha aggiunto il vicedirettore generale di Palazzo Koch - è concorde nel suggerire che una parte significativa» del ritardo italiano negli indici di produttività «può essere ricondotta all'esistenza di vincoli al corretto funzionamento dei mercati, che ostacolano la riallocazione di risorse produttive verso gli impieghi più redditizi, il ricambio degli attori e l'ingresso di nuovi e più efficienti produttori e tecnologie».
«L'eccesso di regolamentazione - ha concluso Visco - e in particolare l'introduzione, in mercati potenzialmente concorrenziali, di barriere all'entrata o di misure volte a proteggere le quote di mercato delle imprese esistenti tendono infatti ad avere effetti negativi sulla crescita della produttività che si diffondono ben oltre lo specifico mercato oggetto di restrizioni, verso i settori che si collocano a valle lungo la catena del valore».
Dopo si parla anche di scuola e in questo caso, chiedendo alle istituzioni, un impegno: «è oggi una priorità per il nostro paese» e «il miglioramento della qualità del capitale umano richiede quindi interventi importanti sulla scuola e sull'universita», fra i quali la revisione degli «incentivi che guidano l'apprendimento come l'attività di insegnamento». Fra le possibili linee di intervento, ha spiegato Visco, secondo quanto si legge nel suo intervento diffuso da Palazzo Koch, «va apprezzato e compensato il merito là dove si manifesta, è necessaria una migliore e più continua valutazione dei programmi, dei metodi e dei risultati, occorrono infrastrutture e ambienti scolastici adeguati e attraenti».
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